Il 2020 è stato l’anno del Covid, il 2021 quello della ripartenza, e il 2022? Senza dubbio la parola che più ha contraddistinto i dodici mesi, e così anche i bilanci della grande distribuzione organizzata, è una: inflazione. L’aumento dei prezzi ha di fatto infiammato i fatturati di tutti i segmenti della Gdo, lo testimonia anche il Rapporto Coop 2023, che nella sua analisi redatta con Nomisma afferma che i ricavi negli iper tra i 2.500 e 4.500 metri quadri di superficie sono saliti dell’11,1%, nei discount del 9,4%, nei supermercati tradizionali del 9,3%, nelle superfici sopra i 4.500 metri quadrati dell’8,9% e nei più piccoli specialisti drug addirittura del più 13,9 per cento.
Nelle analisi effettuate da Mediobanca, che ogni anno traccia l’andamento delle grandi imprese italiane (vedi anche Food dicembre 2023, p. 62), ben 53 sigle della grande distribuzione su 59 hanno chiuso il 2022 con fatturati in crescita rispetto all’anno precedente. Un successo mai visto, che ha portato ad esempio brand quali Lidl Italia a superare i 6 miliardi di euro di giro d’affari e Pac 2000A (la più grande cooperativa del consorzio Conad) oltre i 4,2 miliardi. Tutto questo non è però che un lato, e forse anche il più marginale, della medaglia.
La verità, infatti, è che per la Gdo il 2022 è stato un anno molto complesso. L’aumento dei costi lungo tutta la filiera dell’alimentare ha imposto una serie di scelte, anche piuttosto dolorose. E la prima è stata questa: alzare o meno i prezzi ai clienti. In molti hanno preferito aspettare prima di giungere a una decisione tanto drastica, avviando un duro braccio di ferro con le imprese produttrici. Ma dalla metà dell’anno in poi è diventato chiaro come tenere a bada l’inflazione non sarebbe stato un gioco da ragazzi (la Bce ha operato diversi rialzi dei tassi di interesse, con una politica monetaria molto restrittiva) e sono cominciati i ritocchi sugli scaffali. I risultati di queste difficoltà si vedono nei dati di Mediobanca sulla marginalità, risultata in negativo rispetto al 2021 per oltre la metà dei brand analizzati dall’Area studi di Piazzetta Cuccia.