Milioni di persone tutti i giorni entrano in un punto di vendita della distribuzione moderna organizzata. Essere accessibili per noi non è una scelta di campo ma un dovere, un servizio, un modo di essere e di fare impresa. Eppure, spesso non sappiamo anticipare i bisogni di tutte le persone. Un genitore non ha modo di sapere se ci sarà un fasciatoio, una persona in sedia rotelle non sa se ci sarà un gradino all’entrata, chi soffre di disturbi neurodivergenti non può sapere se le luci o la musica di sottofondo saranno tollerabili; in tanti hanno un cane e non sanno come gestirlo. Dalle nostre porte scorrevoli transita tutta la bellezza del mondo che quotidianamente abbiamo l’onore di accogliere e riconoscere.
Cito una frase di Paul Valery: “Arricchiamoci delle nostre reciproche diversità”. In un punto di vendita le reciproche diversità parlano la lingua dell’accessibilità, del bisogno, dell’inclusione, dell’accoglienza, della lotta contro ogni forma di disuguaglianza. Il Covid ci ha insegnato che un negozio con le insegne accese, le uniche accese in quei mesi drammatici, ha generato una nuova funzione “sociale” del nostro essere al centro della comunità che coincide con la definizione di bene comune, di libertà e di democrazia.
L’IMPEGNO DI WEGLAD
Ho incontrato recentemente Riccardo Taverna e Petru Capatina, rispettivamente Presidente e Ceo di WeGlad, società innovativa e benefit a vocazione sociale, “necessaria” perché sviluppa prodotti e modelli tecnologici umano-centrici per mappare e comunicare dati oggettivi di accessibilità fisica, di neurodivergenza e alimentare e per permettere alle persone di vivere in modo autonomo qualsiasi forma di quotidianità. Mi hanno raccontato che l’accessibilità è un concetto ancorato alla dignità naturale dell’essere umano. Ma per migliorare occorre misurare diceva Galileo Galilei. WeGlad è in grado di mappare l’accessibilità di tutti i punti di vendita e considera il nostro modo di fare ed essere impresa.
Attraverso i loro bisogni ci aiutano a co-creare esperienze migliori e a fidelizzare la loro ricerca di autonomia attraverso i nostri servizi. Siamo la fotografia più nitida del paesaggio sociale ed economico che ci circonda, rappresentiamo il punto di contatto più frequente con il sentimento pubblico più importante: la fiducia. Nessuna forma di disabilità può limitare o ostacolare il bisogno, la necessità e il desiderio di fare la spesa. Dobbiamo però offrire garanzie: nessuna barriera architettonica né rumori troppo forti e luci abbaglianti. E non solo, dobbiamo garantire la piena accessibilità a tutti i prodotti sugli scaffali, un aiuto a disposizione di chi ne ha bisogno. Siamo tutti disabili. Lo siamo stati forse solo per alcuni giorni quando un infortunio ci ha bloccato, ma nelle nostre famiglie e nella rete delle persone a noi care contiamo almeno una persona che soffre di limitazioni alla mobilità e che ha il diritto a non trovare ostacoli lungo il suo cammino. WeGlad è più precisa: il 100% delle persone conoscono o interagiscono con qualcuno che ha qualche forma di difficoltà o perché, in età avanzata, queste si presentano anche a chi non ne ha mai avuta una. La disabilità quindi ci appartiene.
La ricerca dell’equilibrio è oggi il motore che muove lo sviluppo e la crescita competitiva della nostra società. Non può esserci equilibrio se facciamo finta di ignorare questi numeri. Quanto vale l’inclusione? Quanto conta oggi “essere dentro o fuori”? Tornano a farsi ascoltare le parole del sociologo Zygmunt Bauman contro i “rifiuti umani”, le persone considerate inutili, imperfette, diverse, da scartare. Perché in fondo: “Cresciuti nell’epoca dei pezzi di ricambio, non abbiamo imparato l’arte della riparazione”. Questo succede perché troppo spesso la risposta ai bisogni viene definita un costo e non un investimento. Noi del retail siamo immuni da questa accusa? No, dobbiamo fare molto di più di quello che stiamo facendo. Il “costo” di una persona scartata dalla comunità per la sua disabilità è troppo alto. Il valore di una persona recuperata alla comunità invece è immenso. In un mondo che cambia così velocemente e violentemente occorre fermarsi a riflettere sul valore e il significato oggi della parola “inclusione”.
Quali sono le diseguaglianze che minano alla base l’idea stessa di comunità? Siamo in grado di ascoltare, riconoscere e soddisfare i nuovi bisogni? Cosa significa essere accessibili? Domande difficili che hanno bisogno di risposte complesse e necessarie. Ma di una cosa sono sicuro: l’accessibilità per il retail non è solo un fattore competitivo, ma la dimostrazione che il futuro sarà di chi sarà in grado di costruito. Per bene e per tutti.