Export: la bussola punta (di nuovo) a est

La Cina torna a crescere e a rappresentare una meta interessante per l'export tricolore. Un mercato che però richiede un'offerta adeguata in termini di gusto e impone collaborazione con gli operatori locali
Export: la bussola punta (di nuovo) a est

Le tensioni geopolitiche con gli Usa, la questione sempre calda dell’indipendenza di Taiwan, la guerra dei microchip. Sono solo alcuni dei dossier che rendono potenzialmente vulnerabili i rapporti macroeconomici con la Cina e che quindi suggeriscono prudenza nell’approcciare questo mercato. Vero è però che il Paese del Dragone rappresenta per l’industria europea, e segnatamente per quella italiana, uno sbocco commerciale ghiottissimo. A confermarlo sono, nero su bianco, i dati messi in fila da Porsche Consulting, che evidenziano almeno sette buone ragioni per spingersi oltre la Grande Muraglia.

La prima rimanda alla dinamicità dell’economia del Paese: le proiezioni elaborate sulla base del Fondo Monetario Internazionale e dell’Ufficio Nazionale di statistica cinese, accreditano, infatti, Pil di Pechino di una crescita del +4,2% entro il 2025. Un ritmo più che sostenuto se si considera che l’Ue si fermerà a +1,1% e gli Usa a +0,8 per cento. La seconda ragione riguarda, invece, il potere di spesa: durante la fase pandemica i cittadini della Repubblica Popolare hanno risparmiato ben 2,6 trilioni di dollari, un piccolo ‘forziere’ oggi disponibile per nuovi acquisti.

In terzo luogo, va considerato che il mercato cinese assicura ottime prospettive di sviluppo, dal momento che la metà dei consumi legati alla fascia più alta, quella cioè più interessante dal punto di vista dell’export, è riconducibile alla Gen Z, ovvero a una platea di giovani. Ma non solo. Le stime indicano, infatti (e qui sta il quarto motivo che deve portare a valutare la presenza a Pechino), che nei prossimi tre anni, 41,2 milioni di famiglie entreranno a far parte della classe di reddito più elevata. Una platea enorme che non può e non deve essere ignorata. E che deve indurre a considerare l’opportunità di sbarcare in questo mercato. In questa direzione conduce, del resto, un’altra precisa indicazione: l’82% dei consumi di lusso (e il made in Italy alimentare si posiziona in Cina nella fascia alta del mercato) si perfezionano nei negozi presenti nel Paese. Poco incidono gli acquisti fatti durante i viaggi all’estero.

Infine, non va tralasciato neppure che gli shopper cinesi mostrano una decisa propensione verso i prodotti più rispettosi dell’ambiente: il 72% di loro dichiara, infatti, di preferire prodotti eco compatibili al momento dell’acquisto, contro una media globale ferma a quota 54 per cento. E su questo terreno i nostri prodotti partono parecchio avvantaggiati rispetto a quelli locali. Così come la nostra offerta parte avvantaggiata se si guarda a un altro fattore capace di fare la differenza: la qualità. Un elemento capace di conquistare soprattutto quei consumatori che si dirigono verso le fasce di prezzo più importanti, se è vero che il 68% di loro dichiara di ricercare una proposta premium a prezzi accessibili.


L’illustrazione di copertina è opera di Marco Goran Romano

© Riproduzione riservata