Manzoni la definiva “realtà spaventosa e spaventevole”. Così appariva due secoli fa. E così appare anche oggi. Già, perché la peste non manca di toccare neppure il ventunesimo secolo. Ai nostri giorni, la malattia non ha però risvolti sull’uomo, ma ha preso di mira la popolazione degli ungulati. Con una progressione disarmante: al suo esordio in Europa, all’inizio del 2022, il virus (in questo caso identificato dalla comunità scientifica con il nome di Peste suina africana) ha interessato prima i cinghiali selvatici; poi, via via è purtroppo approdato negli allevamenti di maiali. Nel mirino, dice Ismea, sono finite soprattutto le Province di Pavia, con quasi 13mila casi positivi, Lodi (10.616) e Milano (616 casi), benché non manchino casi neppure in Calabria e Campania.
“La malattia – afferma Gabriele Canali, Direttore Crefis e Presidente di Vsafe, spin off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – è stata protagonista di un processo espansivo non facilmente spiegabile: già da tempo ne conoscevamo la presenza presso popolazioni animali allo stato brado in Russia, Bielorussia, Polonia e infine Germania. Eravamo, quindi, consapevoli della probabilità che superasse le Alpi. Il punto è però che i primi casi localizzati in Italia, tra Liguria e Piemonte, non hanno presentato alcuna continuità territoriale con Francia e Svizzera, come invece sarebbe dovuto avvenire. A oggi, insomma, non sappiamo come il virus abbia varcato il confine italiano. Così come non sappiamo con precisione come abbia intaccato le stalle dei suini. È ragionevole che il contagio sia stato indiretto: a fare da vettori potrebbero, in buona sostanza, essere stati mezzi di trasporto o persone inconsapevoli. E questo sia perché nella prima fase dell’epidemia, l’approccio al virus è stato affrontato senza attenzione, complice anche una mancanza di informazioni adeguate, sia perché la Psa presenta un periodo di incubazione che può arrivare a due settimane prima del manifestarsi dei sintomi. Abbastanza per dare al virus la possibilità di diffondersi, sfruttando anche i contatti indiretti tra allevamento e allevamento”.
I DANNI AGLI ALLEVATORI
Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è dunque un ‘salto’ di specie per nulla banale, che si sta rivelando davvero problematico per l’intera filiera delle carni e soprattutto dei salumi made in Italy. Al momento, infatti, non ci sono né cure né vaccini per contrastare il virus. Si sono quindi resi necessari provvedimenti straordinari: abbattimenti preventivi, restrizioni negli spostamenti degli animali e messa a terra di severe misure di prevenzione, controllo e sanificazione. Tutti interventi che presentano un conto salato agli allevatori, a più livelli.
“I contraccolpi economici diretti sono indubbi – dice Canali –, ma va detto che non rappresentano il solo problema. C’è, infatti, da considerare che, una volta ripristinata la praticabilità, il rientro in stalla degli animali non è per nulla scontato: la provenienza da una zona infetta rende la carne poco appetibile sul mercato. E, anche in caso di vendita, la assoggetta più facilmente a ribassi di listino. Accade così che molti allevamenti rischiano di rimanere vuoti”.
La cover è opera di Luca Soncini