Food a prova di inflazione

L'industria del food&beverage si affida ai maggiori prezzi per superare il perdurare di anni complicati. L'analisi dei bilanci dell'Area Studi Mediobanca in esclusiva per Food
Food a prova di inflazione

In qualche modo era stato preannunciato da tutti gli analisti economici e, alla fine, chi invitava alla cautela ha avuto ragione. Il 2023 non è stato affatto un anno semplice per l’economia nel suo complesso e tantomeno lo è stato per l’alimentare. Per il settore si stanno scrivendo nuove pagine di storia, molto diverse da quelle del passato. La crisi finanziaria del 2008, poi quella del debito sovrano all’inizio dello scorso decennio, avevano messo in luce una notevole resilienza dell’industria nazionale del food. Il parere comune era quello di un comparto fortemente anticiclico, poiché fondamentalmente basato sul primario tra i bisogni primari: nutrirsi.

Negli anni duri della pandemia, pur con tutte le sue difficoltà, il settore aveva dato ancora una volta prova della sua corazza. Come ricordano i dati dell’Area Studi Mediobanca, anche nel 2020 le principali società nazionali dell’alimentare avevano visto crescere il loro fatturato complessivo, passato da 60,6 miliardi di euro nel 2019 a quasi 61 miliardi. Ora, però, qualcosa è cambiato. E quello che sta emergendo è un effetto stagnazione che minaccia di essere tutto tranne che volatile, ma bensì piuttosto duraturo.

La rinominata “tempesta perfetta” è iniziata nel 2022, con il food&beverage che ha dovuto subire l’accerchiamento dalle contemporanee impennate delle quotazioni di numerose materie prime, oltre ai ben noti aumenti della voce energia. Nel 2023 si è avuta la scia di questa tempesta, con un effetto prezzi che ha tarpato le capacità di crescita. Resa ancora più ostica dal perdurare di un conflitto in Ucraina (dimostratosi più lungo del previsto) e dallo scoppio di numerosi focolai in Medio Oriente, dove alla guerra tra israeliani e palestinesi si sono aggiunte tensioni nello Yemen che hanno portato al sostanziale blocco di una delle vie fondamentali del commercio globale: il Canale di Suez.

Insomma, il panorama ha continuato a delinearsi nel segno delle incertezze. Le stesse incertezze che si riflettono nei risultati dei bilanci delle principali industrie italiane del food messi insieme, come ogni anno per Food, dall’Area Studi Mediobanca. A livello generale, è vero, il fatturato è passato da 75,9 miliardi del 2022 agli 81,2 miliardi del 2023 e, altro dato positivo, il numero totale delle società che hanno superato la soglia dei 100 milioni di euro di giro d’affari è arrivato a 219, rispetto alle 202 dell’anno precedente. Tuttavia, la cre- scita media dei ricavi è stata davvero molto più contenuta. Mediamente nel 2022 i fatturati delle big dell’alimentare erano cresciuti del 19%, con picchi anche del 40% o addirittura 50% in un solo esercizio. Nel 2023? La media si è ridotta di 10 punti percen- tuali secchi, fermandosi a un più timido 9 per cento. Non sono mancati nemmeno qui i picchi, come il sostanzioso +37,5% di Sperlari o il +28,8% di Orsero, ma 46 aziende hanno dovuto mettere a bilancio un calo degli affari annuali, ossia il 21% (l’anno prima erano state solo l’8%).

CONSUMI, L’ABC DELLA CRISI

Il tema cardine di tutta la faccenda, ancora una volta, sono i prezzi. L’anno scorso ha infatti confermato un fenomeno già emerso nel 2022 e in vistoso contrasto con la storia recente e meno recente del settore. Eccolo qui: dopo decenni nei quali i prezzi dell’alimentare lavorato erano sempre stati calmieratori, crescendo invariabilmente meno dell’inflazione, nel 2023 hanno chiuso l’anno su una spinta media del più 10,9%, a fronte di un tasso inflattivo del +5,7 per cento.


L’illustrazione di copertina è opera di Lorenzo Sainati

© Riproduzione riservata