L’assemblea generale del Consorzio del Parmigiano Reggiano ha approvato oggi, alla presenza del Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, il bilancio preventivo 2025, con una previsione di 51,54 milioni di euro di ricavi. Sul totale, 20,08 milioni andranno a coprire i costi di funzionamento del Consorzio mentre le risorse destinate alle attività ammonteranno a 31,13 milioni al netto di accantonamenti, ammortamenti e tasse.
Gli investimenti per azioni di marketing e comunicazione saranno pari a 28,4 milioni di euro, con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo della domanda in Italia e, soprattutto, all’estero. Verrà data priorità agli investimenti per l’acquisto di spazi pubblicitari (TV, radio, stampa e web) nazionali e internazionali, e per il sostegno dei progetti di crescita dei mercati realizzati direttamente con catene distributive italiane ed estere.
Inoltre, 0,3 milioni verranno dedicati al rafforzamento dei programmi di vigilanza di mercato e di tutela legale nei mercati internazionali, con una particolare attenzione dedicata ai canali non retail nell’Unione Europea e negli Usa. È anche per sostenere questo obiettivo che il Consorzio ha ufficializzato lo scorso 27 luglio (anniversario dei 90 anni dalla fondazione) l’apertura di un ufficio operativo negli Stati Uniti; ottenendo così una maggiore efficacia nelle operazioni di tutela, vigilanza, promozione e formazione al consumatore.
DIECI ANNI DI PIANO DI REGOLAZIONE DELL’OFFERTA
Nel corso dell’assemblea è stata anche approvata la proposta di accordo preventivo filiera Parmigiano Reggiano – Piano Regolazione Offerta 2026-2031, con uno stanziamento di 1,5 milioni di euro destinato al fondo “Crisi di mercato”. Il piano ha consentito fin qui di mitigare la ciclicità del mercato con quotazioni stabili nel tempo e, in media, a livelli remunerativi. Nello scorso decennio la produzione ha registrato un +2,2% annuo, passando dai 3,28 milioni di forme del 2013 ai 4,014 milioni del 2024, con un prezzo medio che dal 2022 si è mantenuto stabilmente oltre i 10 euro. Grazie allo strumento delle “quote latte Parmigiano Reggiano” (unica Dop in Europa a essersene dotata), i produttori di latte sono diventati una parte attiva della filiera e il Consorzio ha avuto la possibilità di attivarsi con azioni e politiche calibrate ed efficaci.
L’AUMENTO DELLA PRODUZIONE DI PARMIGIANO REGGIANO
In dieci anni le dimensioni aziendali degli allevatori sono passate da una produzione di latte di 5.200 quintali all’anno a quasi 8.900 quintali, con un incremento di oltre il 70%. Inoltre è stata salvaguardata la produzione in montagna, che nel 2023 ha superato le 861.000 forme (pari a più del 21% del totale) prodotte da 83 caseifici, con un aumento del +11% rispetto al 2016, anno in cui è stata inaugurata la politica del Consorzio di rilancio e valorizzazione, riconfermando il Parmigiano Reggiano come il più importante prodotto Dop ottenuto in quest’area geografica. La percentuale di allevatori di montagna è rimasta invariata nel tempo e rappresenta oltre il 36% del totale, con un’età media che si è mantenuta stabile favorendone il ricambio generazionale.
OBIETTIVO EXPORT
“Il nostro obiettivo è dare continuità a una condizione di mercato che nel corso del 2023 e, in particolare, del 2024 è stata stabilizzata e ha raggiunto condizioni di equilibrio”, ha dichiarato Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano Dop. “Con una quota export che nel 2023 si è attestata al 43%, la Dop continua il percorso per diventare un vero brand iconico globale, con l’obiettivo di incrementare progressivamente le esportazioni nei prossimi dieci anni: in quanto l’estero rappresenta il futuro della Dop. Il Consorzio è proiettato con forza a supportare una cultura nuova e coerente relativa alle indicazioni geografiche: quella di essere strumento di sviluppo non solo rurale ma di un intero territorio. I nostri 292 caseifici e 2.100 allevamenti danno lavoro a circa 50.000 persone. L’opportunità di sviluppare modelli vincenti per i territori basati sulle denominazioni di origine dipende dalla capacità di combattere a livello globale le contraffazioni e le misure protezionistiche che le ostacolano, che vanno considerate strumenti ‘non etici’, dannosi per prodotti che per loro natura non possono essere delocalizzati dalle zone di origine e che rappresentano una ricchezza che ne garantisce lo sviluppo e la sostenibilità sociale”.