Il discount non è un supermercato, mi dispiace. Ci ho pensato qualche giorno prima di scrivere questo articolo, cercando di comprendere se fossi in grado di condividere con voi tutti la mia idea, mantenendomi esclusivamente su un piano assolutamente ideale e astraendomi dal contesto reale, italiano o europeo che sia. Beh, alla fine ho optato per andare avanti ed eccomi qui, anche se so per certo che mi attirerò diverse critiche o, più semplicemente, scatenerò un dibattito tra favorevoli e contrari a questa tesi.
Il confronto costruttivo è comunque, a ogni modo, un obiettivo auspicabile. Sì, perché “ormai sono solo gli addetti ai lavori a fare questa distinzione, mentre invece i consumatori non ne comprendono più la differenza”. Sì, perché “ormai i discount sono proprio belli e hanno anche il pane (però caldo infornato e non fresco che lievita in pdv)”. Sì, perché “tutte le marche industriali sono presenti anche lì”. Sì, perché “sbagliano gli istituti di ricerca a distinguerli dal dettaglio, perché sono uguali agli altri”.
ALLE ORIGINI DEL DISCOUNT
In primis, ci tengo a precisare, comunque, che in Italia il termine discount e conseguentemente la formula medesima, non arriva d’importazione d’oltre Brennero, come taluni sostengono. Si tratta di un termine coniato e creato proprio da Gruppo VéGé negli anni ‘70. Era il 1973 infatti quando comparvero i primi Sosty e Stop (una sorta di iper discount nato da un’idea di Riccardo e Luigi Garosci), per contrastare la grande crisi di quegli anni, seguiti immediatamente da Emilio Lombardini, che aprì il primo discount con insegna Comprabene a Treviglio nel 1974. L’anno successivo Gruppo VéGé raddoppiò l’offerta di convenience, con l’insegna Sidis, crasi di Sistema Discount, con i primi pdv aperti dall’azienda Cedis Migliarini, che arrivò nel 1978 ad averne ben 70, suddivisi in base alla dimensione.
ASSORTIMENTO, DOVE LE STRADE PRENDONO DIVERSA DIREZIONE
Precisata la genesi, desidero andare subito al punto: senza scomodare accademici di fama, è indubbio che il servizio primario che un’impresa di retail svolge è sicuramente la proposta assortimentale. Secondariamente, non in modo marginale ma comunque complementare, vi sono le leve prodromiche alla vendita: la politica promozionale, la politica di pricing, il merchandising, il punto di vendita stesso, la politica di fidelizzazione, i servizi in store, la politica di comunicazione, il parcheggio, ecc. Ma l’assortimento è l’assortimento. Limitandoci al perimetro grocery, il discount ha un assortimento decisamente inferiore, in termini di numero di referenze trattate, rispetto al canale supermercato. Peraltro, questo ultimo ha dei confini dimensionali storici (400-2.499 metri quadri), mentre il discount come discrimine ha proprio le caratteristiche assortimentali, sebbene, con il passare del tempo, in evoluzione nella numerica.
Prendendo come fonte NIQ, il dato medio nazionale, ergo super partes rispetto a insegne o dimensioni, porta a dire che nel settore bevande un discount ha circa 350 referenze rispetto alle 720 del supermercato (vale il 48%), nella cura casa 240 vs 430 (55%), nella cura persona 300 vs 470 (63%), nella drogheria alimentare 1.270 vs 2.480 (51%), nel freddo 190 vs 270 (70%), nel fresco 510 vs 730 (69%) e nel petcare 60 vs 190 (31%). Poi, chiaramente ci sono discount che superano le 3.000 referenze o altri che invece faticano ad arrivare a 2.000, come d’altro canto ci sono supermercati di ampie dimensioni (non superstore) che riescono a superare anche le 15.000 referenze. Inoltre, i discount, con già una dimensione comunque ristretta, sono ulteriormente sacrificati dalla presenza sempre più invadente dell’area promo (ma non nascevano come edlp?) e dalle offerte fuori perimetro grocery e, soprattutto, occasionali.
IL NODO DEI PRODOTTI DI MARCA MANCANTI
Spesso coprono il grocery cercando di soddisfare tutte le prime necessità e le categorie di largo consumo ad alta frequenza d’acquisto, ma per farlo ne escludono delle altre ritenute meno strategiche e/o rotanti, o semplicemente meno profittevoli in termini di spazio/resa a scaffale. I migliori discount coprono quasi tutte le categorie essenziali del largo consumo, ma ovviamente con numeriche inferiori. E a volte con proposte ai consumatori drammaticamente ridotte o impossibili (un solo prodotto nei casi più estremi).
E se quella referenza è in rottura di stock? Al di là dei savings, della mancanza delle varianti di prodotto, della pluralità dei gusti, delle molteplicità delle profumazioni, delle diversità delle nuances, ecc., parte del canale ha inoltre come scelta strategica la deliberata mancanza dei prodotti dell’industria e altre parti del canale non trattano i prodotti dell’industria in maniera continuativa.
A tal proposito, verrebbe da chiedere agli amici dell’industria come facciano i discount a ottenere prezzi all’acquisto così bassi, o comunque spesso più bassi in confronto ai supermercati che, rispetto a un banale dead-net, devono garantire decine di prestazioni.
FRA LE LEVE, LA CONVENIENZA RESTA IL VERO PUNTO DI FORZA
Torno a ribadire, quindi, che il discount non è un supermercato sebbene, spesso, la parte “ancillare” è sempre più performante e strutturata meglio rispetto ai tradizionali punti di vendita. L’evoluzione è stata infatti decisamente marcata: molti attori nel canale del risparmio hanno il volantino cartaceo e taluni anche il volantino digital, molte insegne discount hanno le app (e fatte anche molto bene), hanno la carta fedeltà, gestiscono egregiamente datalake importanti, effettuano attività di Crm evolute, investono milioni in comunicazione, strutturano layout e display nell’alveo dell’eccellenza, disegnano punti di vendita bijoux, con ampia capacità di attrazione e appealing.
I discount sono straordinari e, sebbene il dato like4like a fine novembre 2024 dica che sono cresciuti solo dello 0,04% rispetto allo 0,82% dei supermercati (NIQ), svolgono ancora con molta attenzione il loro ruolo di soddisfacimento di convenience. Che dire, quindi: lunga vita ai discount, ma la profondità e l’ampiezza assortimentale rimangono e rimarranno “in aeternum” la ragione della scelta di un pdv e, a maggior ragione, di una shopping expedition fisica.
UN FUTURO DI NUOVI FORMAT?
Ecco perché io porrei molta attenzione alle “nuove” formule ibride: supermercati, come dire, superconvenienti o ipermercati che riescono con maestria ad armonizzare una profondità assortimentale elevatissima (più di 60mila referenze?) con la presenza di categorie/prodotti catering e nel contempo una convenienza formidabile. I discount sono un canale molto dinamico e, per taluni versi, sono anche più snelli e reattivi del supermercato: hanno una struttura fisica e di costi ridotta e riescono a garantire maggior verticalità e rapidità nelle esecuzioni.
In sintesi, sebbene non siano oggettivamente dei supermercati e malgrado si ostinino a voler comunicare che lo siano, viva lo stesso i discount: alla fine sarà infatti il cliente a optare se, a parità di prezzo, preferisce scegliere tra 30 caffè o 2, tra 180 birre o 3 o tra 15 mozzarelle o 1. Ai posteri l’ardua sentenza.