Fare squadra contro la crisi per rilanciare la filiera e sensibilizzare la politica ai problemi del settore. È questo il messaggio emerso dal convegno “La filiera del pane: parlano i protagonisti”, organizzato dal Gruppo lievito da zuccheri di Assitol a Sigep, il Salone internazionale della panificazione, pasticceria, gelateria artigianali e caffè.
A dare voce ai problemi della panificazione sono stati segmenti diversi dell’universo bakery, come le aziende del lievito, i mugnai di Italmopa e gli stessi panificatori, davanti ad una platea di operatori ed esponenti del mondo politico. “Non vogliamo lanciare il solito grido di allarme – ha spiegato Pietro Grechi, imprenditore e rappresentante del gruppo lievito di Assitol – ma far capire che dietro al pane di ogni giorno ci sono settori diversi che vivono una situazione complicata, legata alla crisi energetica dell’ultimo anno ma anche ad un approccio al mercato da rivedere”.
LA CRISI DELLA FILIERA
La crisi ha colpito in modo differente le imprese del mondo del pane. Per il lievito, i problemi sono in parte analoghi a quelli di altre aziende italiane. “Il nostro è un settore di eccellenza – ha sottolineato Grechi – che movimenta 60.000 tonnellate di prodotto l’anno in Italia. Siamo all’avanguardia nell’economia circolare, ma abbiamo sofferto soprattutto il caro energia e il difficile approvvigionamento delle materie prime, a causa, ad esempio, della crisi ucraina”. Il lievito, che rappresenta l’anima del pane, è infatti al centro di un processo complesso che impone alte tecnologie e grandi competenze. “Le nostre turbine hanno bisogno di tanta energia. Il lievito, che è un microorganismo vivente, si moltiplica grazie a sostanze come l’azoto e il fosforo, il cui reperimento in Italia è quasi impossibile. Non ci interessa il solito piagnisteo, ma far capire quanto è duro lavorare senza la benché minima programmazione, navigando a vista alla ricerca di soluzioni”, ha sottolineato Grechi.
Per i mugnai, la situazione è ancora più complessa. Lo ha spiegato Giorgio Agugiaro, imprenditore del settore e rappresentante di Italmopa, l’associazione dell’industria molitoria. “Non essendo autosufficienti importiamo il 65% del grano tenero che serve per la nostra produzione di farine, che è considerata la migliore al mondo dal punto di vista qualitativo. Nel 2022 abbiamo registrato un ulteriore calo produttivo, pari al -15%”. L’Italia è storicamente un Paese di grandi trasformatori alimentari, capaci di elevare la qualità dei prodotti grazie al saper fare delle aziende e alla domanda della clientela, sempre molto esigente. “La farina non mancherà – ha sottolineato Agugiaro – il vero problema è che non sappiamo quanto costerà nel prossimo futuro. È giusta l’idea di aumentare la produzione ma, in un territorio popolato, che si allunga nel Mediterraneo, sarebbe opportuno investire sull’agricoltura di precisione. Anche per contrastare siccità e cambiamento climatico”. Insieme alla burocrazia, l’altro punto dolente è la logistica. “In un Paese che ha il fiume Po, dove si concentra tanta parte dell’attività molitoria, non si riesce a sfruttare questa idrovia per il trasporto delle merci. Non parliamo poi dei treni, che sono alla base della logistica del grano tenero”.
LE AZIENDE DI LIEVITI E FARINE
Le aziende dei due ingredienti base del pane, lievito e farina, soffrono ma resistono. E i panificatori? Per Matteo Cunsolo, Presidente Assopanificatori Milano e Richemont Club Italia, è tempo di rivedere l’approccio al mercato. “Il mondo è cambiato, siamo più social, compriamo ovunque e da chiunque. È vero che oggi si mangia meno pane rispetto agli anni Ottanta, ma i consumi dei prodotti da forno sono aumentati. L’offerta deve essere più varia e articolata, se vogliamo rispondere alle richieste del nostro pubblico”. In questo quadro, la Gdo non va considerata come un nemico. “Loro fanno il loro lavoro, siamo noi panificatori che dobbiamo interpretare al meglio i desideri di chi si avvicina al pane”. E proprio qui, secondo Cunsolo, sta il vero vantaggio competitivo: “Siamo artigiani, chiamiamo i nostri clienti per nome. È un’arma che altri operatori non hanno e che dobbiamo imparare a sfruttare”.
Più che di crisi del pane, sarebbe forse il caso di parlare di crisi di un modo troppo vecchio di concepire la panificazione. Un immobilismo che si riflette nella filiera, finora poco presente dal dibattito politico. “È tempo di riscoprirci filiera del pane – ha avvertito Grechi – dando vita ad un nuovo corso. Noi ci siamo e siamo disposti a lavorare insieme alle associazioni del mondo del pane”.