A partire dagli anni Ottanta si è assistito al grande sviluppo, anche nel settore alimentare, del mercato del contoterzismo rivolto alla grande impresa e alla grande distribuzione organizzata.
Com’è noto, molte grandi imprese trovano vantaggioso l’utilizzo di contoterzisti per la necessità di liberare le proprie linee produttive, di concentrare i propri sforzi su finanza, ricerca & sviluppo, marketing e distribuzione o in funzione di altre valutazioni di carattere prettamente economico (è la cosiddetta ‘subfornitura di specialità o congiunturale’).
La grande distribuzione organizzata, da parte sua, ha bisogno di contoterzisti con una solida struttura produttiva, tanto più che la quota dei prodotti a marchio è in costante crescita e per la necessità di rinvenire fornitori affidabili dal punto di vista qualitativo e produttivo (ed è la cosiddetta ‘subfornitura di specialità’).
L’apposizione sul prodotto del proprio segno distintivo comporta la responsabilità dell’azienda nei confronti dei consumatori per i danni arrecati da vizi o difetti che lo rendano inidoneo all’uso a cui è destinato.
L’art. 103 del d.lgs. 206/2005 (Codice del consumo), ricomprende infatti nella nozione di “produttore”, accanto al fabbricante del prodotto, “…qualsiasi altra persona che si presenti come fabbricante apponendo sul prodotto il proprio nome, il proprio marchio o un altro segno distintivo…”.
Da tale situazione deriva la possibilità – da parte del consumatore danneggiato da un prodotto acquistato presso una catena distributiva – d’invocare la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale della medesima (se trattasi di prodotto a proprio marchio privato), nonché la responsabilità extracontrattuale del fabbricante/produttore del prodotto a marchio industriale (anche per il prodotto a marchio privato eventualmente fabbricato per la gdo) .
In entrambi i casi, vista l’esposizione che si verifica con l’apposizione del proprio marchio, i soggetti interessati si trovano nella necessità di mettere in campo solide tutele dal punto di vista contrattuale.
In particolare, la gdo nei confronti dei fornitori industriali selezionati – così come le industrie nei confronti dei propri fornitori o copacker – è solita imporre clausole di conformità igienico-sanitaria che rimandano al rispetto delle vigenti normativi generali e di settore (a seconda della tipologia dei prodotti forniti), nonché alle stringenti condizioni stabilite in appositi standards qualitativi, a garanzia dell’assoluta igienicità, genuinità, salubrità e regolare commerciabilità dei prodotti finiti e dell’attuazione di specifiche formalità di etichettatura e confezionamento.
Oltre a ciò, la prassi contrattuale suggerisce di predisporre clausole di manleva mediante le quali trasferire ogni conseguenza risarcitoria dell’inadempimento (inclusi i danni diretti e indiretti arrecati al committente e quelli arrecati a terzi) in capo al produttore/terzista, fatte salve, ovviamente, le eventuali responsabilità personali dei legali rappresentanti dei produttori/distributori dei prodotti a marchio qualora dal fatto derivi la contestazione di un reato. In quest’ultimo caso, potranno comunque valere a escludere la responsabilità, la dimostrazione dell’oculata scelta del fornitore e il livello di indirizzo e verifica contrattualmente previsti sulla sua attività, oltre alla predisposizione di un idoneo sistema di autocontrollo.
Immancabilmente, infine, viene imposto l’impegno a stipulare e a mantenere in vita, per tutta la durata del rapporto, un regolare contratto di assicurazione contro ogni rischio delle merci prodotte per conto del committente, a copertura anche dei rischi derivanti da eventuali danni a terzi.
Avv. Gaetano Forte
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