Quasi il 92% della produzione mondiale di olio d’oliva proviene dalla regione del Mediterraneo; i principali produttori sono Spagna, Italia, Francia, Grecia e Portogallo. Sebbene sia considerata una coltura altamente resiliente e tollerante a diversi stress abiotici, l’olivo abita un ambiente particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici. Quest’anno in Italia lunghi periodi di forte siccità sono stati intervallati da improvvisi e catastrofici eventi temporaleschi estremi, e la situazione è destinata a peggiorare in futuro con temperature più alte e precipitazioni sempre più importanti. Per quanto riguarda le colture perenni, come l’olivo, queste proiezioni climatiche preludono a effetti estremamente negativi.
L’aumento delle temperature può allungare la durata della stagione di crescita, e quindi causare cambiamenti nei tempi fenologici (in particolare della fioritura) e l’evapotraspirazione che accelera la maturazione dei frutti, invocando la necessità di raccolti precoci. Inoltre, lo stesso fenomeno potrebbe ridurre i periodi di freddo necessari alle piante per attivare la ripresa vegetativa. Un raffreddamento insufficiente determina una bassa allegagione dei frutti, con conseguenze negative sulle rese finali.
Dall’altro lato c’è la sempre più ridotta disponibilità di acqua. Sebbene l’olivo sia una specie resistente alla siccità, lo stress idrico può comportare un’ampia gamma di impatti negativi: dalla bassa allegagione dei fiori e dei frutti alla superficie fogliare ridotta, oltre a fotosintesi limitata e aborto dei fiori. Per continuare ad ottenere delle rese soddisfacenti in oliveto sarà quindi necessario impegnarsi sempre di più nella gestione sostenibile della risorsa idrica.
COME COLTIVARE L’OLIVO IN ARIDOCOLTURA
Il magazine specializzato Agronotizie propone a questo proposito una serie di pratiche che possono attenuare lo stress idrico e mantenere una buona produttività e redditività in un oliveto gestito in aridocoltura. La prima e principale consiste nel favorire l’aumento della disponibilità idrica attraverso opportune lavorazioni e sistemazioni del suolo. In aridocoltura l’apporto idrico alle radici proviene infatti dalle precipitazioni, e il terreno funge da serbatoio in cui è immagazzinata l’acqua. In zone con precipitazioni tra 400 e 600 millimetri, come l’Italia meridionale, se la pioggia cade nel periodo tra la fioritura (aprile e maggio) e la maturazione dei frutti (novembre), questa quantità di precipitazioni può garantire buona crescita vegetativa ed un buon potenziale produttivo per l’anno successivo. Perciò è opportuno aumentare la porzione di terreno esplorabile dalle radici e incentivare l’immagazzinamento dell’acqua piovana.
Con lavorazioni superficiali del terreno si possono inoltre rompere gli strati impervi, incrementare la porosità e aumentare la capacità d’invaso, quindi migliorare l’infiltrazione e la percolazione nel terreno delle acque piovane. Bisogna evitare però lavorazioni continue perché, a lungo andare, possono degradare la struttura del suolo che può ridurre significativamente il tasso di infiltrazione dell’acqua causando ruscellamento, processi di erosione e perdita di fertilità. La disponibilità di acqua nel terreno aumenta quando c’è una buona capacità di ritenzione idrica. La chiave è la somministrazione e il mantenimento della sostanza organica, di cui molti suoli sono ormai impoveriti, attraverso letame, compost e sovescio.
Infine, è indispensabile ridurre le perdite di acqua per evaporazione dal terreno o traspirazione dalla pianta.In autunno e in inverno, per intercettare bene l’acqua piovana, occorre ridurre il ruscellamento o le perdite di acque per evaporazione dal terreno, e facilitare l’infiltrazione negli strati profondi.
Per ottenere questo risultato, l’oliveto può essere inerbito con piante spontanee oppure con specifiche colture di copertura (cover crop). Quando il terreno è nudo, la pacciamatura può aiutare a proteggere il terreno dalle radiazioni dirette, e quindi a ridurre l’evaporazione.