Mineracqua – la federazione di Confindustria che associa le imprese delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente – intende fare chiarezza “in merito alla notizia, riportata da alcuni organi di stampa, relativa allo studio americano pubblicato sulla rivista Pnas in cui si dà conto della presenza di innumerevoli quantità di microplastiche e nanoplastiche nelle acque imbottigliate americane”.
Leggendo lo studio, come Mineracqua ha fatto, emerge chiaramente che le “bottled waters” in questione “non sono acque minerali naturali ma acque potabili trattate e imbottigliate”. Infatti, il maggior numero di nanoplastiche rinvenute nelle bottled waters sono originate dall’utilizzo della sostanza poliammide impiegata per la produzione dei filtri di plastica utilizzati per trattare l’acqua.
E “le acque minerali non possono subire alcun trattamento di questo genere”, sottolinea sempre Mineracqua. Piuttosto, “dovremmo approfondire e riflettere sulle acque trattate somministrate nei ristoranti e/o utilizzate nelle abitazioni attraverso apparecchi di filtrazione che utilizzano filtri di plastica”. La federazione sottolinea anche come la metodologia utilizzata nello studio “non sia ancora ‘standardizzata’, ancorché utilizzata dai vari laboratori”.
Del più ampio tema delle micro e nanoplastiche, non solo nell’acqua, si sta occupando l’Organizzazione mondiale della sanità, per verificarne l’impatto sulla salute umana. Le principali evidenze raccolte sin qui consentono, comunque, all’Oms di “ritenere come maggiori cause della presenza di microplastiche lo scarico delle lavatrici che hanno lavato tessuti sintetici (ad esempio pile) e lo sfregamento degli pneumatici”.