Solo l’11% delle aziende italiane dichiara che i programmi fedeltà contribuiscono alle vendite, generano Roi positivo e piacciono ai clienti. Una percentuale risibile che sfigura se confrontata con la media internazionale, che arriva a toccare quota 56 per cento. A dirlo sono i risultati aggiornati presentati dall’Osservatorio Fedeltà UniPR durante il webinar “Loyalty (re)design: rinnovare i touchpoint che fidelizzano”.
LOYALTY, URGE UN CAMBIO DI PASSO
La ricerca attesta, insomma, l’insoddisfazione delle aziende italiane. Un dato di fatto che può e deve essere correlato con il grado di anzianità dei programmi ancora in essere. I dati raccolti dall’Osservatorio rilevano, infatti, che ben il 46% delle iniziative varate in questo ambito hanno più di 10 anni di vita. E a queste si deve aggiungere un 19% di progetti nati dai 10 ai 6 anni fa. Per converso, soltanto l’8% è stato lanciato meno di un anno fa, e non più del 14% conta meno di due anni di vita.
Occorre, dunque, recuperare il terreno perso, superando il disallineamento che oggi sembra caratterizzare una parte importante del settore. La buona notizia è che in questo percorso un aiuto può arrivare dall’evoluzione recentemente capitalizzata sul fronte della cultura della misurazione dei programmi di fedeltà.
“Solo 5 anni fa –osserva Cristina Ziliani, Professore Ordinario di Marketing presso l’Università degli Studi di Parma e Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Fedeltà UniPR – a misurare abitualmente l’efficacia della strategia di loyalty era 1 azienda su 2. Il benchmark di valutazione era per lo più rappresentato dal fatturato. Oggi si utilizza il tasso di attività dei membri. Il che significa avere a disposizione una mole di informazioni precise e profilate che aprono la strada a significativi margini di miglioramento”.
LA CASE HISTORY DI MD
E che il settore viva una fase di dinamismo lo provano, nei fatti, anche le nuove iniziative messe a terra dai player della distribuzione. Tra queste, vale la pena di segnalare il lancio da parte di MD della propria carta fedeltà, costruita sulla logica del cashback allargato. “Il progetto – annuncia il Responsabile marketing Alessandro Santagata – non si limita al solo perimetro dell’offerta della nostra insegna, ma abbraccia un ampio spettro di prodotti e servizi proposti da realtà terze”.
In buona sostanza, i punti accumulati tramite la carta fedeltà andranno a confluire in una sorta di wallet, dal quale l’utente potrà attingere per acquistare ciò che, nell’ambito del raggio di azione della iniziativa, più desidera. Ma non solo. “I punti – aggiunge Santagata – potranno essere convertiti anche in fondi pensione e di investimento oppure destinati a enti benefici che partecipano all’iniziativa. E nel caso dei nostri dipendenti, è allo studio la possibilità di creare meccanismi di anticipo dello stipendio”.