Giorgio Santambrogio
La vita di un bracciante e quella di un uomo che guarda il cielo e pensa: “Anche oggi il sole è alto. E il cielo limpido, maledetto. Non abbiamo speranza, anche oggi saremo preda del sole cocente, che rovescerà i suoi raggi come fossero alabarde. Ci spiegano che il sole è vita. Qui invece, la vita la toglie, strato dopo strato, respiro dopo respiro, battito dopo battito, fino a quando crolliamo. Capita che qualcuno non si alzi più. Il corpo sparisce, tutti sanno ma nessuno osa chiedere, nessuno osa parlarne. È successo anche ieri. Era un ragazzone alto, allegro. La sera, prima di dormire, era quello che riusciva a strapparci una risata. Per pochi attimi ci dimenticavamo del giorno dopo, uguale a oggi, uguale a tutti gli altri giorni. La sera prima nessuno aveva riso. Il ragazzone era rimasto a letto con la febbre e non aveva mangiato. Letto? In realtà un materasso maleodorante schiacciato nell’angolo di una stanza, insieme ad altri materassi maleodoranti. Il giorno dopo era di nuovo al lavoro a raccogliere pomodori, gli ultimi. Non poteva restare a letto, doveva lavorare perché, se avesse saltato anche un solo giorno il ‘caporale’ non lo avrebbe più chiamato il giorno dopo. Ma non c’è stato ‘un giorno dopo’, è crollato sotto i colpi del sole che colpivano come un meglio. Alcuni hanno cercato di soccorrerlo. I caporali sono intervenuti intimando ai suoi compagni di continuare a lavorare. Nessuno lo ha più visto”.
UN FENOMENO RADICATO
Questa storia potrebbe essere accaduta anni fa o raccontata con mille altre modalità, ma la verità è che è drammaticamente sempre attuale. Il caporalato rappresenta una delle piaghe più gravi del mercato del lavoro in Italia, particolarmente nel settore agricolo. Questo fenomeno, che come ben sappiamo consiste nello sfruttamento sistematico della manodopera da parte di intermediari illegali chiamati ‘caporali’, è radicato soprattutto nelle regioni meridionali, ma non risparmia altre aree del Paese, anzi ultimamente sta crescendo nel Lazio e nel Veneto.
I caporali reclutano lavoratori, spesso migranti irregolari o persone in condizioni di estrema vulnerabilità economica, promettendo loro impieghi che, nella realtà, si traducono in condizioni di lavoro disumane. I braccianti vengono costretti a lavorare per lunghe ore, senza adeguate pause e con una retribuzione ben al di sotto dei minimi legali. Inoltre, le condizioni igienico-sanitarie in cui vivono e lavorano sono spesso precarie, aggravando ulteriormente la loro situazione.
Le vittime del caporalato non hanno accesso a diritti fondamentali come la malattia, la maternità, le ferie retribuite e la sicurezza sul lavoro. Inoltre, sono spesso sottoposte a intimidazioni e violenze fisiche o psicologiche per impedire loro di ribellarsi o denunciare le condizioni di sfruttamento.
COLPA DELL’ECONOMIA SOMMERSA E DELLA MANCANZA DEI CONTROLLI
Negli ultimi anni, il governo italiano ha adottato diverse misure per contrastare il caporalato. Tra queste, la legge 199 del 2016, che introduce nuove sanzioni penali per i caporali e per i datori di lavoro che ne fanno uso, nonché strumenti per la tutela dei lavoratori sfruttati. Tuttavia, la strada verso l’eliminazione di questa piaga è ancora lunga e richiede un impegno congiunto da parte delle istituzioni, delle imprese e della società civile.
Per contrastare efficacemente il caporalato è fondamentale promuovere la legalità e la trasparenza nel mercato del lavoro agricolo, rafforzare i controlli e le ispezioni, e garantire l’accesso dei lavoratori ai propri diritti. Solo attraverso un’azione concertata e continua sarà possibile debellare definitivamente questo grave fenomeno di sfruttamento e assicurare dignità e giustizia a migliaia di lavoratori.
Per riassumere, il fenomeno del caporalato è reso possibile da una serie di fattori. Tra questi, la frammentazione del mercato del lavoro agricolo, la presenza di un’economia sommersa e la mancanza di controlli efficaci da parte delle autorità competenti.
LA DISTRIBUZIONE MODERNA NON È COMPLICE
Vi è anche chi pone l’attenzione sulla domanda di prodotti agricoli a basso costo da parte dei consumatori e la pressione della distribuzione moderna sui produttori per mantenere prezzi competitivi contribuiscono a perpetuare questo sistema di sfruttamento.
Chi pone l’accento su questa ultime tesi, non conosce bene la filiera agroalimentare italiana. Cosa c’entra un volantino della distribuzione moderna con il caporalato? Cosa diavolo c’entra un’attività di sottocosto con il bastardo caporalato? Cosa c’entra una sordida agromafia con una strategia commerciale?
Ricordo, peraltro, che tutte le imprese della distribuzione moderna hanno sottoscritto nel 2017 un protocollo per contrastare il caporalato e per eliminare le aste al doppio ribasso che generano la compressione dei costi agricoli ai nostri fornitori. Non solo, ma sempre come Federdistribuzione abbiamo chiesto più volte l’adesione alla rete del lavoro agricolo di qualità (laddove possibile, perché a volte decisamente complessa) oppure l’assunzione di certificazione Grasp, specifica per la tutela dei lavoratori.
La moderna distribuzione, con i fatti, da sempre condanna lo sfruttamento delle persone: i laidi criminali non c’entrano nulla con la sana imprenditoria. E questo in tutta la filiera!