Il percorso verso la transizione sostenibile rappresenta ormai un elemento presente e radicato nella business community che ruota intorno al food&beverage. A confermarlo sono le evidenze emerse dalla ricerca “Sostenibilità, a che punto è il food italiano” condotta tra aprile e giugno 2024 da Food su un campione rappresentativo di 18.500 industrie e retailer e presentata nella cornice della terza edizione del Food Social Impact, andato in scena a Milano lo scorso 11 giugno.
La survey ha restituito un’indicazione chiara e precisa: il 42,8% degli intervistati riscontra nei propri collaboratori una predisposizione elevata e molto elevata al cambiamento imposto dalla svolta green. Solo il 14,3% rileva refrattarietà ad affrontare il nuovo paradigma. Certo, resta un robusto 42,9% che si assesta su una posizione media, sul quale quindi occorrerà lavorare per raggiungere l’obiettivo (diventare imprese sostenibili), ma i numeri sono incontrovertibilmente incoraggianti.
A spingere verso questo cambiamento è, del resto, la vera “stella polare” delle strategie aziendali: il consumatore. La stessa ricerca indica, infatti, dati alla mano, che gli shopper sono in larga parte disposti a pagare di più per acquistare prodotti sostenibili. E non si tratta di dichiarazioni di circostanza. Lo dicono i riscontri delle stesse aziende: il 75% delle realtà interpellate rileva che l’andamento delle vendite segue quella propensione a una maggiore spesa dichiarata dai consumatori. A essere tiepido nel rilevare la connessione causa-effetto tra disponibilità all’acquisto e scontrino è, infatti, soltanto un intervistato su quattro. E va sottolineato che nessuno dei player interpellati ha considerato l’interrelazione inesistente.
GLI OSTACOLI IN CAMPO
Non tutto è oro, però, quel che luccica. Le survey rileva, infatti, che sulla strada della transizione green non mancano neppure gli ostacoli. E va detto che la lista non è breve. Industria e retail puntano il dito, innanzitutto, contro l’aumento dei costi delle materie prime e i rincari energetici, due fianchi scoperti per ben il 53,6 per cento. Ma a pesare è anche la difficile contingenza economica che impone ai player di diversificare gli investimenti drenando risorse alla trasformazione sostenibile, tanto che la mancanza di budget viene indicata come un fattore di criticità dal 46,4% del campione, aggiudicandosi così la non invidiabile medaglia d’argento nella classifica dei fattori ostativi al cambiamento. Una medaglia condivisa, peraltro, con un altro convitato di pietra per chi fa impresa in Italia: il binomio legislazione-burocrazia. Ma c’è di più.
Va considerata anche la mancanza di competenze e di professionalità qualificate, item segnalato dal 39,3% del campione. Una carenza che si lega fatalmente a un ulteriore nodo critico ravvisato da industria e retail: la difficoltà di integrare la sostenibilità a pieno titolo nelle strategie aziendali, punto che trova d’accordo ben un intervistato su quattro. E il dato deve fare riflettere, perché, se letto in filigrana e in chiave prospettiva, suggerisce la direzione da intraprendere per il futuro: puntare a un definitivo salto culturale, capace di segnare definitivamente un prima e un dopo l’avvento dell’era della sostenibilità.
Inutile, però, nasconderlo: nel raggiungimento di questo traguardo, molto dipenderà dall’evoluzione delle criticità già evidenziate sul fronte economico. La buona notizia è, però, che il mondo del credito finanziario si è accorto della necessità. E delle opportunità che stanno dietro alla trasformazione verde della filiera alimentare. Lo dimostra la strategia di Bnl Bnp Paribas.
La cover è opera di Katia Montel