Fino al 40 per cento. È la percentuale di cibo acquistato negli Stati Uniti che finisce sprecato nei vari passaggi della filiera, dall’origine, alla distribuzione fino al consumo. Lo stima un’indagine del Natural Resources Defence Council, un’organizzazione ambientalista non profit attiva dagli anni Settanta e che conta oggi oltre 1,3 milioni di iscritti. Lo spreco alimentare stimato da questa nuova ricerca, diffusa lo scorso agosto, ammonta a un valore economico di 165 miliardi di dollari (131,156 miliardi di euro).
Un quota – peraltro – in aumento del 50% rispetto agli anni Settanta. Una riduzione del 15% di questi sprechi potrebbe significare trovare cibo a sufficienza per nutrire 25 milioni di americani ogni anno.
Le cause dello spreco nel sistema sono varie, ma si possono indicare alcune criticità. Nel retail, negozi e altri venditori perdono circa 15 miliardi di dollari (11,925 miliardi di euro) l’anno solo per frutta e verdura invendute. In generale, i freschi – inclusi pesce, carne, granaglie, latticini – hanno molti più scarti di tutti gli altri prodotti soprattutto nelle fasi iniziali della catena. Molte di queste sarebbero evitabili, per esempio se i retailer fermassero la pratica di esporre merce in abbondanza sui display.
Ma anche i consumatori hanno la loro responsabilità, perchè la maggioranza degli sprechi alimentari avviene nei ristoranti e nelle case.
La famiglia media americana, di quattro elementi, finisce per buttare l’equivalente di 2.275 dollari in cibo (oltre 1.808 euro circa), in gran parte per il fatto di ricorrere ai grandi formati, lasciandone poi una parte. Al momento, le porzioni sono da due a otto volte superiori a quelle raccomandate dal governo.
Lo spreco di cibo si traduce naturalmente in uno spreco di risorse naturalim in termini di energia, acqua e terra necessarie per produrre, trasportare e stoccare gli alimenti. Circa metà di tutto il territorio statunitense è destinato all’agricoltura, così come circa il 25% dell’acqua corrente e il 4 per cento della benzina va alla produzione di alimenti che non saranno mangiati. Infine, il cibo non consumato rappresenta il 23% di tutte le emissioni di metano, un potente agente inquinante responsabile del cambiamento climatico negli Stati Uniti.
Aumentare l’efficienza del sistema alimentare statunitense richiederebbe uno sforzo congiunto di governo, aziende e consumatori. Secondo l’Nrdc, il governo dovrebbe condurre uno studio completo sugli sprechi del sistema alimentare per porre degli obiettivi di riduzione delle perdite. L’ultimo studio governativo di questo tipo, infatti, secondo l’autorevole The Guardian, risale al 2008, e attestava a 165,5 miliardi di dollari lo spreco alimentare, 390 (310 euro circa) per persona.
Inoltre, i consumatori potrebbero sprecare meno cibo facendo acquisti più oculati, e le aziende potrebbero ottimizzare le proprie procedure per risparmiare cibo e denaro.
Proprio l’Europa sta guidando questo percorso virtuoso: lo scorso gennaio, il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione per ridurre gli sprechi alimentari del 50% entro il 2020 e ha indicato il 2014 come l’anno europeo contro gli sprechi nel cibo. In Regno Unito una campagna di sensibilizzazione di cinque anni intitolata Love Food Hate Waste ha contribuito a ridurre del 18% sprechi di cibo evitabili. E 53 food retailer britannici hanno adottato soluzioni riduci-sprechi. Emanuela Taverna
Sprechi alimentari, in Usa si butta il 40% del food
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