È vero che tutto manca, in questo sfortunato momento economico, tranne le analisi su come stiano andando male i mercati e penando i consumatori: ma per fare qualsiasi riflessione sul futuro che ci aspetta bisogna immancabilmente ripartire dalle note dolenti. E infatti. L’ultimo meeting di Conad Adriatico, organizzato per interrogarsi sul futuro del commercio associato è partito proprio da lì. Da uno scenario che sembra non lasciare scampo, stritolando le imprese di industria e distribuzione tra un calo dei consumi interni del 3,4% rispetto all’anno prima, un incremento dell’inflazione del 3,1% e un calo del pil del 2,4% (fonte Confcommercio e Prometeia). Va da sé che sia in contrazione anche il reddito disponibile delle famiglie: rispetto al 1990 – ha rimarcato Roberto Ravazzoni, dell’Università di Modena e Reggio Emilia – la propensione al risparmio è calata di oltre il 60 per cento. Se prima per ogni 100 euro di reddito si riusciva a risparmiarne 23, oggi ci si ferma a 8,7. Questo anche per effetto dei rincari delle principali voci di spesa: Federdistribuzione ci ricorda che dal 2004 al 2011 le tariffe per i servizi sono aumentate del 38,1%, mentre i prodotti di largo consumo confezionati venduti in gdo hanno subìto un incremento del 7,6 per cento. Se questo non bastasse, dall’ultimo rapporto Coop è emerso che l’impatto sulle famiglie italiane delle più recenti manovre economiche sarà pari, nel 2014, a 4mila euro per famiglia. Da qui il clima di incertezza che sta paralizzando i consumatori e congelando ogni loro decisione di acquisto. Con un tasso di disoccupazione che a settembre ha toccato il 10,8% e un 26% di italiani che ha paura di perdere il posto di lavoro, non stupisce che l’89% (fonte Nielsen) dichiari di ritenere il momento attuale inadatto a effettuare acquisti. Che ricadute ha questo scenario sul mondo del largo consumo? Una bella indagine Nielsen risponde, tanto per cominciare, che dal 2011 a oggi gli italiani hanno risparmiato circa 1,4 miliardi di euro rimodulando le loro scelte d’acquisto: il 14,4% ha incrementato l’utilizzo di marche commerciali, il 18,1% si è spostato sul canale discount, il 19,1% ha fatto più acquisti in promozione e il 48,3% ha rinunciato a fare spese o comunque le ha razionalizzate sui prodotti più cari.
Sintomatica di questa nuova tendenza a consumare in modo più oculato, è la maggiore attenzione agli sprechi da parte delle famiglie. Se fino a oggi una famiglia italiana buttava in pattumiera l’8% di quanto acquistava, che in un anno significa 42 chili di prodotto a testa, per un valore di 117 euro a persona e un totale di 6,9 miliardi di euro, oggi il trend è al ribasso. Lo dicono i produttori di pasta, che segnalano come nella classica famiglia di quattro persone ormai non si utilizzi più tutta una confezione da 500 grammi, ma si faccia un saving di 100 g (per chi produce il 20%dei volumi!); lo ribadiscono quelli del caffè, denunciando come sia ormai scomparsa la cosiddetta ‘quota lavandino’, ossia quel residuo di caffè che si svuotava nel lavello dopo aver riempito le tazzine di tutti. L’abitudine virtuosa dei consumatori a evitare sprechi si traduce per l’impresa di marca nella sfida a gestire un importante calo dei volumi, senza toccare prezzi e qualità. E per il trade? “Assistiamo a un fenomeno che deve far riflettere – ha evidenziato Romolo De Camillis, retailer director di Nielsen –: mentre a settembre 2012 si è raggiunto il picco massimo di pressione promozionale in gdo (28,4%), si è parallelamente registrata la continua crescita del canale discount dove il trend di incremento delle vendite è da imputarsi soprattutto ai prodotti che non sono in promozione”. Morale: al netto della considerazione che il successo dei prodotti non promozionati nel discount è strettamente legato alla natura di quel canale, più orientato all’every day low price, fa riflettere la migrazione dei consumatori verso insegne che hanno puntato, più che sulle promozioni, sull’offerta di servizi e prodotti freschi, tanto che la spesa di freschissimo nel discount è cresciuta dell’8,2% nei primi 7 mesi del 2012. Da un recente studio del Cermes–Bocconi, emerge che la qualità dei freschi è il primo criterio di scelta del proprio negozio di fiducia: una bella simulazione sugli effetti della riqualificazione di un supermercato della gdo, ha dimostrato che portando la quota dei freschi dal 49% al 60% la produttività passa da 5.500 euro al mq a 6.900. Insomma, uno dei pochi canali che ancora registra risultati positivi ha lavorato molto sulla competenza, sul miglioramento qualitativo delle private label, sui freschi e sui servizi. Facendo tranquillamente a meno delle promozioni. Vorrà pure dire qualcosa…
Maria Cristina Alfieri
I conti di fine anno
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