Anche sul numero di settembre di Food la rubrica Visti da LoRo è dedicata ai più interessanti spot internazionali, scelti e commentati da Roberto Scotti e Lorenzo Zordan, creativi dell’agenzia LoRo. Insieme al link per visionare direttamente lo spot, pubblichiamo il testo del commento di Scotti e Zordan a proposito del commercial lanciato per il biscotto Oreo, global brand di Mondelez International.
Avete presente la pubblicità standard per biscotti, dolciumi, gelati, dessert? Quelle affascinanti scene ad alta velocità, commissionate a uno dei maghi del table top, in cui creme, cioccolati, fragole, yogurt eccetera fanno acrobazie? Il packshot che indugia per un buon 20% del tempo a disposizione sul prodotto ben disposto e sui loghi?
Oppure, quelle irrinunciabili immagini dette ‘di appetizing’ in cui il target gode gustando il prodotto? E a volte lo condivide in letizia e fraternità?
Bene. Chi ha scritto (Wieden & Kennedy Portland), e chi ha approvato (Nabisco, Kraft in Usa, Mondelez International nel resto del mondo), i recenti spot per i biscotti Oreo (Leone d’Argento a Cannes 2013) se ne fanno un baffo. Niente appetizing, niente packshot, niente prodotto che si forma sotto i nostri occhi. Anzi, niente prodotto: non si vede quasi mai. E niente condivisione: i biscotti Oreo generano discordia. L’oggetto del contendere è: la parte più buona è il biscotto o è la crema?
Oreo, marchio storico americano (nato a New York nel 1912), è il tipico biscottino doppio, tondo, con in mezzo uno strato di crema. Si separano i due biscotti, si lecca la crema: anche uno dei protagonisti del soggetto “Life Raft” (zattera di salvataggio) lo fa, ma senza prodotto. È un naufrago, non ha da mangiare; il biscotto è immaginario. Lui però fa il gesto di leccare la crema e di gettare via i biscotti (sacrilegio!). L’altro naufrago non è d’accordo; per lui la parte migliore è il biscotto, e mima il gesto di compilare una denuncia per scarico di rifiuti in mare. Allora l’altro dice: me ne vado in elicottero. Godetevi il finale (da colpo di sole) andando a vedere lo spot.
Nell’altro soggetto, “Whisper Fight” (più o meno, “Combattimento di sussurri”: per vederlo, clicca qui OREO – Whisper Fight), la diatriba crema contro biscotto (un giovane piemme direbbe crema “verso” biscotto) è violentissima, tipo western, ma tutta sussurrata, perché avviene in una biblioteca. Volano le scrivanie, si infrangono sedie sulle schiene, cadono gli scaffali, l’auto della polizia sfonda il muro ma nessuno alza la voce. Persino il poliziotto mormora nel megafono.
Qui il prodotto si vede, però: per circa un secondo in mano di uno dei protagonisti. E in uno scarno packshot con il claim “qualcosa su cui essere in disaccordo”.
Le due idee, molto divertenti, per la verità non sono nuovissime. Da qualche anfratto della nostra memoria risalgono immagini simili; un naufrago che invitato dagli altri compagni mimava la degustazione di un piatto e, quando la zattera finiva contro la chiglia della nave che li avrebbe salvati commentava: insomma, proprio mentre stiamo cenando! E anche l’uso dei sussurri in biblioteca è un po’ di déjà vu.
Ma non è tanto la novità dell’idea che ci invita alla riflessione, quanto invece l’uso quasi sfrontato del privilegio di essere una marca storica, conosciutissima, affermata e apprezzata. Modestamente sono Oreo, e non ho nessun bisogno di farti vedere il prodotto, né di decantarne le virtù, né di dirti che piacerà tanto ai tuoi bambini. Col mio prodotto scherzo, divido il mondo in due, mangio la crema e butto il biscotto, invece della morbidezza del ripieno ti faccio vedere una rissa. E ti titillo non solo le papille, ma anche le cellule cerebrali.
È il coraggio della propria forza. E la fiducia nell’intelligenza di chi ti ascolta. Merce rarissima, di questi tempi.
Roberto Scotti e Lorenzo Zordan, unodiloro@gmail.com