A metà agosto, un po’ in sordina, dopo una lunga attesa, l’Agcm-Autorità garante della concorrenza e del mercato ha pubblicato un’indagine conoscitiva destinata a supportare il suo potere d’intervento sulle relazioni pericolose tra industria agroalimentare e gdo, dopo che l’articolo 62 della legge n. 27/2012 ha concesso all’Antitrust un maggior raggio d’azione nel sanzionare condotte “che rappresentano un indebito esercizio del potere contrattuale dal lato della domanda a danno dei fornitori”, affiancando così l’articolo 9 della legge 192/98 nel novero degli strumenti utilizzabili contro il cosiddetto ‘buyer power’.
In estrema sintesi, i risultati dell’indagine – un dossier di 213 pagine, in quattro densi capitoli di analisi più una sezione finale di conclusioni (clicca qui per scaricare il rapporto) – attestano che negli ultimi anni “l’evoluzione del settore ha visto rafforzarsi il potere delle catene della gdo dal lato della domanda. E’ cresciuto il ruolo delle centrali di acquisto con effetti non sempre benefici per i fornitori e per i consumatori. L’Autorità valuterà con attenzione i nuovi assetti di mercato, intervenendo anche con i nuovi strumenti previsti dalla normativa”. Gli effetti dell’aumento del potere di mercato della gdo nei rapporti commerciali con i fornitori – anche attraverso il rafforzamento del ruolo delle centrali di acquisto -“si riverberano non solo sulle condizioni economiche nel mercato a monte dell’approvvigionamento ma anche in quello a valle delle vendite, con possibili ripercussioni a danno dei consumatori finali”.
L’indagine ha evidenziato la presenza di criticità tanto nelle caratteristiche strutturali quanto in quelle di funzionamento del settore: il ruolo delle centrali d’acquisto avrebbe sì favorito la trasparenza delle condizioni contrattuali con i produttori, ma rendendo al contempo meno fluida la catena delle contrattazioni e riducendo il grado di competizione tra le catene distributive, con effetti negativi sulla possibile riduzione dei prezzi a valle. Sempre secondo l’Antitrust, anche “il fenomeno del trade spending – l’insieme dei compensi versati dai fornitori alle catene della gdo per remunerare servizi promozionali, distributivi e di vendita – appare aver contribuito, da un lato, ad aumentare la conflittualità tra produttori e distributori e, dall’altro, a indebolire la competizione sui prezzi finali, alzando il benchmark di costo per la competizione di prezzo tra catene”.
Sulla base di queste considerazioni, l’Antitrust intende “ricorrere a tutti gli strumenti di intervento previsti dalla normativa a tutela della concorrenza, valutando gli eventuali effetti anticompetitivi sul benessere del consumatore non solo in un’ottica di breve periodo ma anche di medio-lungo periodo”.
In materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari, accanto agli strumenti tradizionali (valutazione preventiva delle concentrazioni, accertamento e sanzione di intese e abusi) l’Agcm conta di utilizzare la leva d’intervento offerta dall’articolo 62 della legge n. 27/2012: grazie a questo nuovo potere, complementare rispetto a quelli già previsti dalla normativa antitrust, l’Autorità potrà intervenire per proteggere l’interesse pubblico “rappresentato dal corretto assetto concorrenziale del mercato quando le relazioni commerciali di natura verticale (non qualificabili come intese verticali o come abusi di posizione dominante) tra gdo e fornitori producano indirettamente effetti negativi ‘apprezzabili’ su tale assetto”.
Questi i risultati salienti dell’indagine: per molti aspetti, non risultano particolarmente inediti o ‘inattesi’, ma vanno letti e tenuti in considerazione come i pilastri dei futuri interventi dell’Antitrust nelle questioni tra produttori e gdo nelle filiere agroalimentari.
A) IL 90% DEL MERCATO IN MANO A 18 OPERATORI, MA PESANO I MERCATI LOCALI
Il grado di concentrazione nel settore della gdo non risulta particolarmente elevato, soprattutto se confrontato con quello degli altri principali Paesi europei: a gennaio 2011, in particolare, il 90% delle quote di mercato risultava detenuta da circa 18 operatori, di cui solo 2 con una quota superiore al 10%, e 6 con una quota superiore al 5%. La presenza degli operatori non è tuttavia uniformemente distribuita a livello nazionale. Le quote di vendita, infatti, per quanto contenute a livello nazionale, raggiungono in alcuni mercati locali valori piuttosto elevati, dando luogo a un grado di concentrazione anch’esso molto alto, che pesa sui rapporti di forza degli attori della filiera.
B) SUPERCENTRALI D’ACQUISTO A FORMAZIONE ‘VARIABILE’
E’ aumentata la presenza delle supercentrali d’acquisto, 7 in tutto, che aggregano 21 catene, con una quota delle vendite nazionali complessive della gdo pari a quasi l’80 per cento. Secondo l’Antitrust, le grandi centrali d’acquisto hanno subito, negli ultimi anni, trasformazioni che sollevano problemi concorrenziali. Prima fra tutte la variabilità della loro composizione, con operatori che entrano e escono dalle diverse centrali. Ne deriva – come si diceva più sopra – un aumento della trasparenza delle condizioni trattate con i fornitori, con una riduzione della pressione concorrenziale sui costi e una tendenza all’uniformazione delle condizioni spuntate da ciascuna supercentrale. Altro elemento la complessità della contrattazione con i fornitori, che si sviluppa su più livelli decisionali, a detrimento dell’efficienza aziendale e della conseguente riduzione dei costi. L’indagine ha infatti evidenziato che la contrattazione effettuata nell’ambito delle supercentrali non ha sostituito la contrattazione con le singole catene. L’assetto raggiunto riduce dunque gli incentivi a trasferire al consumatore i risparmi di costo ottenuti. Anche lo spostamento di una parte crescente della contrattazione tra gdo e fornitori sui contributi che questi devono versare a fronte di controprestazioni di servizi distributivi e promozionali (trade spending) non sembra incentivare il trasferimento al consumatore dei vantaggi di costo negli acquisti.
C ) FORNITORI IN DIFFICOLTA’, PESANO I CONTRIBUTI PER SERVIZI
In base agli elementi raccolti nel corso dell’indagine, anche attraverso l’elaborazione di questionari compilati da 320 imprese agroalimentari nazionali, emerge un quadro di rapporti conflittuali tra produttori e gdo relativamente ai contributi versati dai primi a fronte della prestazione di servizi espositivi, distributivi e promozionali: si tratta di una voce che in genere incide per circa il 40% sull’insieme delle condizioni economiche trattate. E’ emerso che i distributori, nella negoziazione relativa alla vendita dei servizi, adottano effettivamente comportamenti quali:
1) condizionare l’acquisto dei prodotti alla vendita del pacchetto di servizi;
2) imporre prezzi di vendita sganciati dalle caratteristiche dei servizi e dall’effettivo vantaggio che da essi deriva al fornitore;
3) fornire controprestazioni inadeguate al compenso versato, risultando peraltro la verifica di tale adeguatezza non sempre agevole per un piccolo produttore.
Per quanto alcune conclusioni dell’indagine possano essere discusse e impugnate dagli operatori del retail italiano, il report dell’Agcm andrà analizzato con attenzione: nel campo di gioco – sempre più battagliato – tra industria e gdo, d’ora in poi l’arbitro avrà un fischietto più potente (e un manuale per l’utilizzo) per farsi sentire…