Il virus della rottura di stock può compromettere anche seriamente le performance di sell out di un reparto, se non di un punto vendita.
Secondo un rapporto redatto da Farrokh Abadi, president and chief operating officer Shrink management solutions di Checkpoint Systems – uno studio che integra dati di diverse fonti – i potenziali acquirenti, non trovando nel pdv il prodotto che cercano, non solo dichiarano di aver vissuto una pessima esperienza, ma ben il 50% si rivolge a un altro negozio (fonte: Retail Feedback Group 2012). Il retailer, quindi, subisce un duplice danno, a livello di mancate vendite e di fidelizzazione dei clienti.
La ricerca sottolinea che circa 1 consumatore su 10 non trova l’articolo di suo interesse, per ragioni legate al disassortimento. Un dato ancora più rilevante, se confrontato con le cifre riportate dallo studio commissionato da Procter&Gamble e condotto da Thomas Gruen dell’Università del Colorado e Daniel Corsten della Ie Business School di Madrid, secondo il quale circa il 20% del tempo medio, impiegato per effettuare un acquisto, è speso per verificare la disponibilità della merce.
All’interno dello studio “Qual è il problema del disassortimento?”, realizzato dalla società di ricerca e consulenza Ihl Group, il livello reale di out-of-stock, nelle menti dei compratori, è pari al 17,8%, ovvero circa il 123% in più, rispetto a quanto indicato dai retailer. Questi valori incrementano ulteriormente dell’11%, se si prende in considerazione la fascia dai 26 ai 35 anni. Inoltre, il 9% degli intervistati dichiara che nell’ultimo anno non ha più effettuato acquisti presso uno specifico punto vendita, a causa di problemi connessi all’irreperibilità della merce, orientandosi verso altre insegne o lo shopping on line.
Uno scenario in gran parte attribuibile alla fiducia riposta verso i sistemi di inventario permanente (Ip), spesso causa di imprecisioni. Per ovviare a questo problema, sempre più retailer si affidano all’Rfid, per ottenere un aggiornamento costante e in tempo reale dei prodotti stoccati a magazzino versus gli articoli presenti a scaffale. L’analisi periodica di questi dati assicura ai retailer una gestione più funzionale dell’intero inventario e una diminuzione dell’out-of-stock pari al 25%, secondo quanto afferma Bill Hardgrave, preside dell’Auburn University’s School of Business. In questo modo anche il tempo d’acquisto del cliente viene ottimizzato e la sua esperienza all’interno dello store risulta più piacevole e soddisfacente.
Checkpoint System, -50% di vendite se c’è rottura di stock
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