Ferrero in stand by sulla cordata tricolore pro Parmalat

Ferrero in stand by sulla cordata tricolore pro Parmalat

“Resta l’interesse, devono maturare le condizioni. La nostra posizione non è cambiata”. Sono le prime dichiarazioni rilasciate dall’interno del gruppo Ferrero all’agenzia Radiocor in risposta alle indiscrezioni circolate nel fine settimana, che parlavano di un ripensamento del gruppo dolciario in merito alla partecipazione alla cordata tricolore promossa a sostegno di Parmalat da Intesa Sanpaolo per controbattere la posizione del gruppo francese Lactalis, forte del 29% del capitale azionario.
“Per noi la situazione non e’ cambiata – hanno ribadito da Ferrero a Radiocor – devono maturare le condizioni e ci sono tempi tecnici da rispettare”. In ogni caso, il gruppo dolciario afferma “che resta l’interesse” e che “la famiglia non si è ancora espressa né in un senso nè nell’altro”.
Come specificato inoltre da la Repubblica, “Ferrero ribadisce le tre condizioni già indicate per l’ingresso nel capitale di Parmalat: che sia un progetto industriale, che sia di lungo periodo e di stampo italiano.
Al di là della posizione di Ferrero, Intesa Sanpaolo proseguirebbe le consultazioni per dare vita a una newco tricolore, in cui, secondo le fonti meglio informate, l’istituto di credito guidato da Corrado Passera potrebbe versare fino a 300 milioni di euro equity, aprendo poi il capitale ad altri partner finanziari disponibili.
Come, per esempio, Giovanni Tamburi, presidente di Tip-Tamburi Investment Partners, ha dichiarato il 24 marzo scorso a Radio 24 di essere pronto a mettere a disposizione 350 milioni di euro. In lizza, potrebbe arrivare anche Palladio Finanziaria attraverso Venice European Investment, un fondo creato sei mesi fa con Assicurazioni Generali e Veneto Banca con 600 milioni di euro a disposizione. Ma ci sarebbero anche altri partner finanziari interessati ad appoggiare la cordata, a cui potrebbe poi essere attribuito anche il controllo di Granarolo (partecipata al 19% da Banca Intesa), il cui valore è stato stimato appena sotto i 400 milioni di euro.
Una volta costituita – ammesso e non concesso – la cordata tricolore avrebbe davanti a sé un ventaglio di opzioni: un accordo con Lactalis per una gestione congiunta di Parmalat, l’acquisto del pacchetto del 29% ora in mano alla famiglia Besnier o il rastrellamento di azioni in Borsa in vista di una sfida nella prossima assemblea del 12-13-14 aprile prossimi (ma si fa sempre più probabile la possibilità di un suo slittamento al 30 giugno, secondo alcune indiscrezioni del ministero dello Sviluppo economico). O, addirittura, si parla anche un’offerta d’acquisto parziale.
Da parte sua, Antonio Sala, deputy general manager di Lactalis e presidente di Lactalis Italia, ha fatto diramare una nota – tesa soprattutto a rassicurare il mondo politico – in cui dichiara: “Siamo d’accordo con chi dice che Parmalat deve restare in Italia”, aggiungendo che “ogni ipotesi di delocalizzazione o anche solo spostamento di uffici è priva di qualsiasi fondamento perché contraria al nostro piano di partecipazione e contributo allo sviluppo industriale di Parmalat. Lactalis è un gruppo industriale che si propone a Parmalat per lo sviluppo di un piano di crescita in Italia e nei mercati internazionali; sviluppo che si fonda sulla sua attuale struttura. Ho letto anche fantasiose ipotesi su possibili impieghi da parte di Lactalis della cassa di Parmalat. La tesoreria di Parmalat è un asset di Parmalat che noi riteniamo debba essere utilizzato unicamente per il suo sviluppo”. Infine, Consob (e la magistratura) stanno esaminando la correttezza dell’operazione d’acquisto di Lactalis. E la stessa Autorità antitrust potrebbe tenere in stand by i francesi in merito al loro arrivo a Collecchio.

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