I prossimi raccolti mondiali di granaglie potrebbero causare ampi movimenti nei prezzi delle materie prime, con forti tendenze al ribasso per alcune commodity di largo utilizzo alimentare. Innanzitutto per il mais, le cui previsioni di raccolta sono molto abbondanti sia negli Stati Uniti sia in Cina, dove addirittura ci si attende un boom di raccolto. E non solo per il granturco, ma anche per grano e riso.
Proprio il Celeste Impero potrebbe destabilizzare il commercio internazionale di queste sementi immettendo grandi quantità di prodotto sui mercati. Cosa che andrebbe a tutto vantaggio dei produttori di bestiame, primi utilizzatori di mais, ma anche a tutte le filiere che utilizzano il grano tenero, come la panificazione e il dolciario, e a svantaggio ovviamente del settore agricolo, in particolar modo di quello poco sussidiato gai governi. Una festa dei ribassi delle materie prime dalle quali sarebbero esclusi i pastai, almeno stando alle previsioni che arrivano dai mercati future delle commodity, visto che il grano duro al momento è in controtendenza rispetto a quel che succede nel resto delle granaglie.
Le ultime rilevazioni convergono tutte in questa direzione: il dipartimento dell’Agricoltura americano (Usda), nell’ultimo forecast pubblicato, sostiene che il raccolto di quest’anno dovrebbe raggiungere i 14 miliardi di bushel (un bushel di mais equivale a 25,4 kg), in incremento di un ulteriore 1% rispetto al 2013 che era stato già un anno record, nonostante non siano aumenti gli ettari coltivati nella famosa corn belt. I prezzi sui mercati finanziari non hanno tardato a farsi sentire e sono in continuo calo: un bushel di mais nell’agosto del 2013 veniva scambiato sopra i 6,2 dollari; 12 mesi dopo si viaggia intorno a 3,7. Anche il grano tenero è visto in calo, ormai intorno ai 5,85 dollari per bushel (27,2 kg di grano) nonostante il raccolto Usa sia in calo rispetto al 2013. Solo il grano duro, come si diceva, è in controtendenza, almeno nelle rilevazioni interne dell’Usda con un prezzo visto intorno a 8,4 dollari per bushel (erano 7,70 ad agosto 2013).
Ma, grano duro a parte, la pressione sui prezzi non sembra destinata a diminuire, nonostante sia già pesante, perché la Cina potrebbe nei prossimi mesi immettere sui mercati internazionali grandi quantità di granaglie e diventare, dopo molti anni, esportatrice netta di queste commodity. Lo spiega il Wall Street Journal, indicando che il prossimo raccolto di riso, grano e mais sarà record, e permettendo ai cinesi di raggiungere scorte pari a 150 milioni di tonnellate di granaglie varie (il 40% dello stock di mais mondiale è nei magazzini cinesi, secondo stime di Capital Economics), cifra doppia rispetto a quella dello scorso anno. Gli alti incentivi statali alla produzione sono una delle cause: per anni hanno tenuto artificiosamente alto il prezzo di queste materie prime al fine di assicurare ai cinesi la tranquillità alimentare (storico problema negli anni dell’autarchia), facendone un acquirente privilegiato per tutti i grandi produttori mondiali, americani inclusi, oltre che per i contadini interni cui si pretendeva anche di dare un sostegno al reddito per evitare eccessive sperequazioni con gli abitanti delle città. Ma gli alti sussidi hanno talmente espanso le produzioni e riempito i granai da arrivare a questi eccessi, e finché non sarà aumentata la capacità di storage, come il governo intende fare ampliandola di 50 milioni di tonnellate, ci sarà il problema di mantenerle in sicurezza. Da qui la possibilità di immetterle sui mercati internazionali causando generali abbassamenti di prezzi, come già si avverte nelle quotazioni di futures sui mercati occidentali. A tutto vantaggio degli gli anelli a monte della filiera. Consumatori compresi, si spera.
di Alfredo Faieta (@alfredofaieta)