Non sembra volersi fermare mai la sete di mega fusioni all’interno del settore birrario, probabilmente già quello a maggior tasso di concentrazione a livello mondiale nel settore alimentare, con i primi cinque gruppi che controllano quasi il 50% dei volumi prodotti nel mondo secondo un report di Barth-Haas Group and Germain del 2012. Il Financial Times ha infatti rilanciato la notizia di un interesse da parte di SABMiller per Heineken, che avvicinerebbe moltissimo i due produttori all’attuale leader incontrastato mondiale, ovvero ABInbev. La mossa di SABMiller sarebbe anche in ottica difensiva, in quanto essa stessa potrebbe diventare preda di ABInbev, in un escalation di acquisizioni che ridurrebbe ulterioremente la concorrenza a livello globale.
Heineken è quotata in Borsa e controllata al 50% da Heineken Holding – riferibile a Charlene de Carvalho-Heineken – in un comunicato ha fatto sapere che non è interessata all’operazione. Una risposta secca che però lascia irrisolta la sete di SABMiller (il primo azionista è Altria Group col 27%) per un take over di peso, e chissà che lo sguardo non giri altrove. All’americana MolsonCoors, ad esempio, con cui è già legata negli Stati Uniti dalla joint venture MillerCoors.
Non è chiaro, comunque ,se il no del gruppo olandese sia dovuto ad un totale disinteresse per una cessione o semplicemente alla volontà di prendere tempo per verificare le varie opzioni di governance che nascerebbero da una eventuale fusione tra le due entità. Le quali, c’è da dire, avrebbero anche una buona complementarietà tra di loro. Secondo le cifre raccolte da Credit Suisse, infatti, la società olandese vende circa il 50% di volumi in Europa (est e ovest), area dove SABMiller raccoglie solo il 18% del totale. Quest’ultima è invece molto sbilanciata nei mercati emergenti, con un buon equilibrio tra America latina, Asia e Africa, dove al contrario Heineken è meno presente.
Anche in Italia la combinazione sarebbe buona, perché Heineken è storicamente presente nel nord del paese e in Sardegna mentre Birra Peroni (la filiale nostrana del gruppo anglo-sudafricano) è presente nel centro sud. Il problema in realtà sorgerebbe dalle quote di mercato, e dall’Antitrust, in quanto la prima ha già il 29% della birra immessa al consumo mentre la seconda il 19,2%, secondo i dati 2013 presentati da Assobirra, per un totale quindi che sfiora il 50 per cento. Il secondo player, in una eventuale fusione, sarebbe ABInbev con il 7,1 per cento. Le due società potrebbero essere quindi costrette a dover vendere un marchio per abbassare le quote di mercato.
Quel che è chiaro, come lascia intendere sempre il Credit Suisse, è che nel settore della birra le acque non sono calme ed è possibile che si arrivi a qualche clamorosa operazione nel breve termine, anche per contrastare il calo di volumi che i maggiori protagonisti vedono in alcune aree del mondo, sentitamente l’Europa, ma non solo. Il conflitto tra Russia e Ucraina, i problemi di Ebola nell’ovest dell’Africa, l’incertezza economica di mercati importanti come Cina e Brasile (primo e termo mercato per la birra nel mondo) sono tutti elementi che potrebbero portare qualcuno dei big a muovere verso un altro round di operazioni. Con la stessa Heineken che da tempo non esclude dismissioni di attività non centrali, magari per affilare le armi ed essere essa stessa predatrice.