Ricominciamo a narrare storie

Da dove si parte per riportare l’attenzione del consumatore dal prezzo alla qualità? E come si rieduca al valore uno shopper con il quale si è parlato troppo (e a volte solo) di convenienza?
Ricominciamo a narrare storie

Il mese scorso abbiamo lanciato, su queste pagine, una provocazione: la marca deve tornare a fare la marca, superando quel capovolgimento di ruoli che negli ultimi tempi l’ha portata a contrastare il calo dei consumi con mezzi più tattici che strategici (ossia con promozioni e tagli prezzo), mentre la distribuzione ha preferito difendere valore ed equity delle sue private label. I risultati di questa politica, adottata da molti big brand, sono sotto gli occhi di tutti ed è ormai evidente che il tatticismo promozionale, così come lo si è espresso fino a oggi, non paga più. Ma se il problema è chiaro, non altrettanto immediata è la soluzione. Quali sono oggi le alternative praticabili? Da dove si parte per riportare l’attenzione del consumatore dal prezzo alla qualità? E come si rieduca al valore uno shopper con il quale si è parlato troppo (e a volte solo) di convenienza? Qualche risposta interessante l’abbiamo intravista in una bella ricerca condotta da Added Value per Oggi e Centromarca, commissionata proprio con l’obiettivo di ripartire dall’ascolto di quella che è stata definita la ‘pancia del Paese’, intesa come ‘bella e sana medietà’: un campione di 5.800 persone, in prevalenza donne (69%) e responsabili d’acquisto, abitanti nel Nord-ovest (40%) e con un buon livello di scolarizzazione. Per ripartire con il piede giusto, è necessario innanzitutto conoscere le aspettative dei consumatori. Che cosa vuole davvero il consumatore da un prodotto di marca? Che cosa chiede a un big brand, ma soprattutto, come recita la domanda di fondo della ricerca, come vorrebbe che fosse la marca di domani?
Tra i tanti segnali che una ricerca così poderosa ha fornito, vorrei soffermarmi su un paio di indicazioni a mio avviso particolarmente significative. Una volta assodato che qualità e selezione delle materie prime, insieme a salubrità e sicurezza, sono ormai dei prerequisiti che il consumatore medio si aspetta da un prodotto alimentare di marca, è sorprendente come a livello di immagine (quindi di pack e iconografia) la più ricorrente aspettativa dei consumatori rispetto ai big brand sia la capacità di essere sostenibili e trasparenti, adottando un approccio di comunicazione meno ‘stupefacente’ e più narrativo. L’auspicio dei consumatori è che le marche ricomincino a narrare delle storie e lo facciano rendendo più stretta, vera e autentica la relazione con il loro pubblico: tra i desideri più ricorrenti, quello che i brand siano più vicini ai propri user e che restino fedeli alle loro tradizioni. Un’aspettativa, questa, che ‘regala’ all’industria di marca un vantaggio inestimabile. Si può imitare un prodotto, infatti, ma non una storia. E il fatto che i consumatori esprimano il desiderio di ascoltare delle storie, è un’indicazione preziosa per le migliaia di piccole e medie imprese famigliari italiane che hanno il loro percorso, unico e inimitabile, da raccontare. Non è un caso che un’altra aspettativa emersa a larga maggioranza è che la marca produca in Italia (lo pensa il 56% del campione): il radicamento al territorio è profondamente connesso alla possibilità di una narrazione che duri nel tempo. Ovviamente oltre a lavorare per rendere più informativa e narrativa la propria comunicazione, i brand dovranno investire per rendere qualitativamente migliori e numericamente maggiori i ‘luoghi’ in cui raccontare la loro storia. Sono necessari nuovi strumenti e strategie commerciali integrate per far fare alla relazione con il consumatore un reale salto di qualità. Per fare un esempio concreto, nell’inchiesta di copertina di questo mese vi proponiamo una bella ricerca condotta da EY che dimostra, numeri e proiezioni alla mano, come sia necessario passare da una logica multicanale – che gestisce in modo autonomo e separato tutti i canali in cui si dialoga con gli shopper – a una filosofia omnicanale – che utilizza diversi canali e li mette in comunicazione e sinergia tra loro. Un’altra interessante ricerca realizzata da Manpower denuncia che “sebbene ormai il 50% degli acquisti sia influenzato dal web, le aziende italiane non hanno ancora messo a punto una strategia commerciale (e di comunicazione, ndr) integrata che sappia parlare al cliente tramite punto vendita, internet e smartphone e hanno molta poca fiducia nell’e-commerce, che non è ancora ritenuto strategico”. Non a caso, in Italia, solo il 43% del campione di executive pensa di potenziare la presenza in azienda figure ‘digital’, contro il 60% in Europa e il 65% degli Usa.

Insomma, la sensazione è che i consumatori siano un passo avanti rispetto a quanto la maggioranza delle imprese oggi può e vuole offrire loro. È vero che la ricerca di Centromarca era finalizzata a esplorare le aspettative future, ma la domanda posta agli intervistati è stata: cosa ti aspetti dalla marca di domani, non come la vorresti tra dieci anni. Domani è già oggi per chi è più innovativo. Sarebbe bene iniziare a tenerne conto.

di Maria Cristina Alfieri

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