Il bicchiere è mezzo pieno …. ma all’estero. Secondo l’analisi di Coldiretti presentata al Vinitaly di Verona, il fatturato del vino ha raggiunto nel 2014 il valore record di 9,4 miliardi di euro per effetto soprattutto delle esportazioni, che hanno toccato i 5,1 miliardi (+1,4 %) a fronte di uno stallo del valore delle vendite sul mercato nazionale che si è attestato attorno ai 4,3 miliardi. I Paesi più ‘assetati’ di vino made in Italy si confermano gli Stati Uniti che con vendite in aumento del +4,4% si consolidano come il principale mercato di sbocco, seguono la Germania – che pur regitrando una flessione del -4,4% rappresenta il secondo mercato di destinazione – e la Gran Bretagna, dove l’export è cresciuto di un confortante +6,1 per cento. In un contesto comunque positivo preoccupa in modo particolare il flop registrato in Russia, dove le esportazioni sono in calo del 10,4% anche per effetto delle tensioni politiche e commerciali sebbene il vino non rientri tra i prodotti colpiti dall’embargo.
Il potenziale delle nostre esportazioni quindi è ancora molto elevato: secondo anche quanto emerso nel corso della tavola rotonda su ‘Vino e Grande Distribuzione’ sono due ragioni per essere ottimisti: la maggiore disponibilità delle catene estere alla commercializzazione di vino made in Italy e la nascita di un progetto che il Governo italiano sta mettendo a punto, come ha riferito Emilio Gatto, direttore generale per la promozione della qualità agroalimentare del ministero delle Politiche Agricole: “Il Ministero delle Politiche agricole sta lavorando alla identificazione di Paesi ‘bersaglio’ in cui avviare progetti di collaborazione che dovranno vedere direttamente interessata la gdo nazionale per la stipula di accordi con i grandi player internazionali per far crescere la commercializzazione dei nostri vini. Il progetto è in fase embrionale ma prenderà corpo con la collaborazione dei diversi portatori di interesse coinvolti”.
Persistono tuttavia alcune criticità strutturali che frenano il potenziale delle nostre imprese sui mercati esteri. “Non basta essere degli ottimi artigiani per vendere nel mondo – ammonisce Gianluigi Ferrari, general manager del Gruppo Core di Bruxelles – : è necessario essere anche degli ottimi commercianti. Questa è la fondamentale differenza con i francesi. Anche nel vino soffriamo di nanismo e provincialismo aziendale. Dobbiamo uscire dalla logica dell’export, inteso come il puro e semplice fatturare e spedire un pallet di prodotto, ad una logica di andare a vendere. Per far questo le nostre aziende hanno bisogno di dimensioni che possano consentire di organizzarsi correttamente nei più importanti Paesi stranieri”.
In altre parole, a pesare sull’evoluzione delle nostre esportazioni di vini e quindi più in generale delle nostre eccellenze agroalimentari è ancora una volta la frammentazione del sistema produttivo e la conseguente difficoltà a rendere efficiente la supply chain da monte a valle. Risultato: il food&beverage italiano resta il più apprezzato nel mondo ma non è ancora il più venduto.