Si chiude con un nulla di fatto la marcia verso la creazione di uno dei più grandi giganti nel settore agroalimentare mondiale, che avrebbe prodotto il 30% di tutta la birra consumata nel mondo senza interventi dell’Antitrust. Il consiglio d’amministrazione di SABMiller, che in Italia detiene la Birra Peroni, ha detto no alla proposta economica di AB Inbev per l’acquisizione del secondo produttore di birra mondiale, con base mondiale al Londra ma radici in Sud Africa e Stati Uniti dopo l’entrata nel gruppo della Miller. AB Inbev aveva offerto 42,15 sterline inglesi (il 41% in più del prezzo di borsa del 14 settembre, data in cui è partita questa contrattazione) in contanti per ogni azione SABMiller, o in alternativa un’opzione che prevedeva un’offerta in azioni non quotate (erano convertibili in azioni quotate AB Inbev dopo 5 anni dalla sottoscrizione) per un valore attuale leggermente più basso. Quest’offerta è stata la terza in ordine di tempo: la prima, datata 22 settembre, valorizzava le azioni della preda 40 sterline; la seconda del 24 settembre era salita a 42 sterline, poco sotto quest’ultima presentata il 5 ottobre. Il cda ha votato il rigetto con l’astensione dei consiglieri espressi dal maggiore socio, l’azienda americana Altria group che possiede il 27% e che era favorevole alla proposta (il secondo socio è la BevCo della famiglia colombiana Santo Domingo con il 14%). L’ultima offerta aveva valorizzato la società ben 68,2 miliardi di sterline, ovvero 92,4 miliardi di euro al cambio attuale.
Il consiglio, nel rigettare la proposta definita “opportunistica, per avere la meglio su SABMiller in un momento di calo del corso dei suoi titoli”, ha sottolineato che quest’offerta “sottovaluta le prospettive di crescita del gruppo anche senza integrazione con AB Inbev”. AB Inbev, inoltre, non avrebbe neanche presentato un piano “rassicurante” su come superare gli evidenti ostacoli Antitrust in Usa e Cina. Per il cda della preda, la società gode di una presenza unica nei Paesi emergenti nei quali ha investito molto per garantirsi decenni di futura crescita nel settore della birra nonché in altri segmenti delle bevande attraverso accordi in Asia, Europa e Africa (per esempio quello con Coca-Cola per l’imbottigliamento e la distribuzione in 12 Paesi africani). Ad AB Inbev, che vede nell’azionariato i fondatori del colosso brasiliano degli investimenti 3G Capital, non resta, al momento, che attendere un’altra preda o aspettare tempi migliori prima di ritentare un altro affondo. “Crediamo che la combinazione delle due società costruirebbe il primo gruppo della birra veramente globale” ha commentato Carlos Brito, l’amministratore delegato di AB Inbev. Insieme le due società creerebbero un colosso da 64 miliardi di dollari di ricavi e un ebitda da 24 miliardi di dollari.