Nel retail, qualunque attività che preveda un contatto umano con il pubblico, ma non è mirata alla vendita, non gode di grande prestigio. Un principio che, purtroppo, vale nell’elettronica di consumo così come nell’alimentare: il cliente deve entrare, comprare, pagare e andare via. Se torna, deve farlo per comprare di nuovo. E l’assistenza post vendita – dalla sostituzione di un prodotto al consiglio su come cucinare un particolare taglio di carne – è certo l’attività piùnegletta. Esistono però le eccezioni. Quest’anno, Apple festeggia il decennale dell’iPod, che insieme all’iTunes ha rivoluzionato il modo di ascoltare la musica. E a compiere dieci anni è anche l’Apple Store, una catena in Italia ancora poco visibile – appena quattro negozi, il primo aperto a Carugate nel 2009 – ma che negli Stati Uniti ha superato i 280 punti vendita, a cui vanno aggiunti gli 80 inaugurati nel resto del mondo. Gli Store generano circa il 13% del fatturato di Apple, con un giro d’affari medio per ciascun punto vendita di 25 milioni di euro. Eppure, se ci entrate, non vedrete l’ombra di un registratore di cassa. Gli Apple Store sono sviluppati lungo due dimensioni: offrire un’esperienza realistica di tutto ciò che l’azienda di Cupertino produce e dare assistenza alla clientela indipendentemente dalla vendita.
Ne ho avuto personalmente la conferma solo poche settimane fa. Giovedì 13 maggio, ore 10. Centro commerciale Carosello di Carugate. Il giorno prima avevo frantumato il vetro di un iPhone e avevo fissato un appuntamento nell’Apple Store per le 10.10. Arrivo in anticipo e, mentre aspetto, noto che il negozio è sì pieno di gente, ma quasi nessuno sta comprando.
Tutti i prodotti Apple sono accesi e a disposizione degli utenti (occupano l’80% dello spazio) che li possono utilizzare liberamente. I dispositivi non sono in prova – un eufemismo per dire che “voi clienti siete dei minus habens per cui sono disponibili prodotti con funzioni limitate” – ma si possono usare per navigare, ascoltare musica, leggere la propria email, ecc. In un angolo si tiene un corso di aggiornamento destinato ai clienti, perché Apple vuole ovviamente vendere ciò che produce e ci riesce bene, ma la priorità è far sì che il consumatore voglia quel particolare prodotto e il desiderio inizia con l’esperienza del prodotto stesso.
In fondo al negozio c’è il banco, chiamato Genius Bar, dove non ci sono registratori di cassa, ma sei o sette dipendenti impegnati quasi esclusivamente nel fornire assistenza per riparazioni, sostituzioni e quant’altro. Sono i cosiddetti “esperti” dei prodotti Apple, si presentano al cliente dicendo il loro nome e non hanno alcuna intenzione di vendergli nulla. Mi guardo intorno: in attesa di assistenza saremo una quindicina di persone. Nel Saturn accanto, sette od otto volte più grande, ci sarà lo stesso numero di impiegati che non sta facendo assolutamente nulla, in attesa che uno dei tre clienti che passeggia tra gli scaffali si decida a comprare e pagare. Le cose non vanno meglio nella vicina ancora alimentare. Il cliente di oggi si è abituato ad acquistare da solo; spesso l’assistenza – se non richiesta e soprattutto se poco qualificata – lo irrita.
Eppure, come sottolinea Jeff Bezos, fondatore di Amazon, “Customer service is the only human-to-human interaction”. In un mondo altamente competitivo e sempre più indifferenziato per offerta, sono ancora il customer service e il fattore umano a fare la differenza.
Gianluca Greco, manager di Ars et Inventio
L’assistenza al cliente fa la differenza
© Riproduzione riservata