Il 1° Rapporto Eurispes-Coldiretti sui crimini agroalimentari in Italia – presentato oggi a Roma stima che il volume d’affari complessivo dell’agromafia sia quantificabile in 12,5 miliardi di euro (5,6% del totale), di cui: 3,7 miliardi di euro da reinvestimenti in attività lecite (30% del totale) e 8,8 miliardi di euro da attività illecite (70% del totale). Il reinvestimento dei proventi illeciti anche in tale settore – come illustra il Rapporto Eurispes-Coldiretti – ha come corollario il condizionamento della libera iniziativa economica attraverso attività fraudolente (per esempio, l’indebita percezione dei finanziamenti nazionali e comunitari: nel solo 2009 la Guardia di Finanza ha accertato l’indebita percezione di oltre 92 milioni di euro di finanziamenti per aiuti all’agricoltura), ovvero mediante l’attuazione di pratiche estorsive, imponendo l’assunzione di forza lavoro e, in taluni casi, costringendo gli operatori del settore ad approvvigionarsi dei mezzi di produzione da soggetti vicini alle organizzazioni criminali, influenzando poi i prezzi di vendita (attraverso la gestione delle fasi di distribuzione all’ingrosso e del trasporto dei prodotti agricoli). L’analisi dei risultati conseguiti dalle forze di polizia evidenzia come l’intero comparto agroalimentare sia caratterizzato da fenomeni criminali legati al contrabbando, alla contraffazione e alla sofisticazione di prodotti alimentari e agricoli e dei relativi marchi garantiti, ma anche dal fenomeno del “caporalato”, che comporta lo sfruttamento dei braccianti agricoli irregolari, con conseguente evasione fiscale e contributiva. I danni al sistema sociale ed economico sono pertanto molteplici, dal pericolo per la salute dei consumatori finali all’alterazione del regolare andamento del mercato agroalimentare.
Nel caso specifico del settore agroalimentare italiano, secondo il Rapporto Eurispes-Coldiretti, il valore aggiunto complessivo (in media 52,2 miliardi di euro su base annua nel quinquennio 2005-2009) rappresenta per la criminalità un forte incentivo, sul piano della massimizzazione del profitto, all’investimento dei proventi delle attività illecite nei comparti dell’agricoltura, caccia e silvicoltura (valore aggiunto medio 26,2 miliardi di euro, 1,9% del Sistema Paese), dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco (valore aggiunto medio 24,6 miliardi di euro, 1,8% del Sistema Paese), della pesca, piscicoltura e servizi connessi (valore aggiunto medio 1,4 miliardi di euro, 0,1% del Sistema Paese); la minore appetibilità, in termini di profittabilità degli investimenti, del settore agroalimentare rispetto ad altri settori a più alto valore aggiunto (attività immobiliari, costruzioni, trasporti, sanità e assistenza sociale) è compensata dalla persistenza e, in taluni casi, dall’aggravarsi, di molteplici fattori di criticità (effetto moltiplicatore), quali: un calo del 15,9% del numero di occupati e del 35,8% del reddito reale agricolo per occupato tra il 2000 e il 2009; il crollo significativo e generalizzato dei prezzi alla produzione; l’assoluta prevalenza di imprese individuali (87,2% delle attive) rispetto a società di persone e di capitali (rispettivamente 8,9% e 2,4% delle attive); l’elevata diffusione di piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, e del fenomeno del sommerso.
Criminalità organizzata: una vera e propria holding finanziaria.
La criminalità organizzata è riuscita nel tempo a consolidare e, in taluni casi, rafforzare il proprio status di grande holding finanziaria, in grado di operare, seppur in misura differente, sull’intero territorio nazionale e nella quasi totalità dei settori economici e finanziari del Sistema Paese, con un giro d’affari complessivo stimato da Eurispes in circa 220 miliardi di euro l’anno (l’11% del Pil). Contestualmente alle attività criminose, la criminalità organizzata ha, infatti, sviluppato una crescente capacità di infiltrazione nel tessuto imprenditoriale italiano, avvalendosi di quest’ultimo quale luogo privilegiato di riciclaggio del denaro proveniente dalle attività illecite. Tale vocazione “imprenditoriale”, che trova terreno ancora più fertile nell’attuale quadro congiunturale di grave e generalizzata crisi economica (in ragione delle ingenti risorse finanziarie di cui dispone), si manifesta seguendo i principî e le regole proprie della finanza, in primis quello della diversificazione del rischio e del portafoglio degli investimenti.
Agromafie: i tentacoli nella terra
In agricoltura, i principali reati che vengono attribuiti alle associazioni mafiose vanno dai comuni furti di attrezzature e mezzi agricoli all’abigeato, dalle macellazioni clandestine al danneggiamento delle colture, dall’usura al racket estorsivo, dall’abusivismo edilizio al saccheggio del patrimonio boschivo, per finire al caporalato e alle truffe, consumate, a danno dell’Unione europea.
Le agromafie insistono soprattutto nei territori meridionali a produrre le loro attività illecite, ricercando un forte alimento nelle difficoltà in cui si trovano le imprese agricole sempre più esposte agli effetti devastanti della scarsa disponibilità di soddisfacenti risorse finanziarie. Così accade che le possibilità di investimento nelle campagne decrescono miseramente e nello stesso tempo l’accesso al credito bancario risulta essere difficoltoso anche per il costo molto elevato del denaro.
Inoltre, come denunciato da Coldiretti, le associazioni criminali, attraverso le suddette pratiche estorsive, finiscono per determinare l’aumento dei prezzi dei beni al consumo. Intervenendo nel meccanismo di formazione dei prezzi, la mafia si pone come soggetto autorevole di intermediazione tra i luoghi della produzione e il consumo, assumendo l’identità di un centro autonomo di potere. L’azienda “Mafia” attraverso il sistema di imprese affiliate o collegate è in grado, come sottolineato dalla Direzione investigativa antimafia, di condizionare e di controllare l’intera filiera agroalimentare, “dalla produzione agricola all’arrivo della merce nei porti, dai mercati all’ingrosso alla grande distribuzione, dal confezionamento alla commercializzazione”. Di fatto, la progressiva diffusione delle agromafie si traduce in una perdita di sicurezza sociale del cittadino e di un impoverimento dell’economia dei territori.
Un altro filone in cui l’agrocrimine si manifesta è quello della contraffazione dei marchi e degli imballaggi di vendita dei prodotti agricoli. Secondo Coldiretti: “La diffusività e l’entità del fenomeno del falso made in Italy e il volume di affari connesso a condotte illegali o a pratiche commerciali improprie nel settore agroalimentare sono, ormai, di tale rilievo da poter a ragione parlare dello sviluppo di vere e proprie agromafie, la cui crescita ed espansione appaiono supportate dall’inadeguatezza del sistema dei controlli e della comunicazione dei dati e dalle informazioni, sia con riferimento alla fase dell’importazione dei prodotti agroalimentari, sia con riferimento alle successive operazioni di trasformazione, distribuzione e vendita”.
La mafia agricola non si allontana dalla terra di origine e ne controlla ogni sua parte, ogni singolo accadimento viene sentito, intercettato e fatto proprio. La ’Ndrangheta, pur manifestando la continua volontà di espansione sull’intero territorio nazionale (e non solo), non abbandona mai il controllo sociale ed economico del territorio calabrese, in particolare rivendica il proprio dominio sulle attività agricole e sulla pastorizia, e allo stesso tempo, s’ingegna per realizzare frodi ai danni dell’Unione europea (come nel caso del fenomeno delle cosiddette “arance di carta”).
Nel territorio campano, i clan camorristici investono i capitali illeciti acquistando aziende agrarie, vasti appezzamenti di terreno e diversi caseifici. La camorra riafferma la sua forte identità criminale, radicata nelle zone di origine, una subcultura deviante, alimentata dai fenomeni di disgregazione sociale e si sviluppa secondo modelli comportamentali che tendono ad aggredire il tessuto sano della società, l’economia legale. In Campania, il fenomeno delle agromafie s’intreccia con altre tipologie di reato proprie dei clan camorristici: lo smaltimento illegale dei rifiuti e il conseguente inquinamento dei terreni e delle falde acquifere. L’azione criminale contro gli agricoltori si esercita attraverso i continui incendi dolosi, i furti di attrezzature agricole e di bestiame, le intimidazioni e le minacce. Inoltre, la camorra detiene in esclusiva il monopolio sul controllo della manodopera extracomunitaria, impiegata prevalentemente nella raccolta del pomodoro. La Dia segnala, in particolare, il coinvolgimento delle cosche mafiose nella gestione degli affari del mercato ortofrutticolo di Fondi in provincia di Latina, il cui potenziale commerciale è tra i primi in Europa. Inoltre, indagini più recenti confermano penetrazioni dell’agrocrimine camorrista in altre regioni italiane, come ad esempio l’Umbria, dove interessi mafiosi si manifestano nel settore agricolo.
In Sicilia una importante e delicata inchiesta è stata avviata ad analizzare le infiltrazioni di Cosa Nostra nel grande mercato ortofrutticolo di Vittoria, in provincia di Ragusa: sembrerebbe che il filo nero delle agromafie governi le principali direttrici del commercio dell’ortofrutta, attraverso i poli di Vittoria e Fondi, fino a raggiungere la potente area commerciale milanese. La mafia, inoltre si garantirebbe l’esclusiva di decidere il prezzo di vendita delle merci, sostituendosi arbitrariamente alle imprese produttrici che vedono gradualmente immiserirsi i propri ricavi.
Neppure risulta immune la Basilicata, regione ritenuta fino a qualche anno fa al riparo da gravi fenomeni criminali ed ora considerata al centro di episodi violenti e criminosi che colpiscono in particolar modo il settore agricolo (aggressioni, furti di mezzi e prodotti agricoli, l’abigeato e in genere il racket sull’intera filiera sono i principali reati).
Italian sounding, crimine e contraffazione
L’Italian sounding rappresenta la forma più diffusa e nota di contraffazione e falso made in Italy nel settore agroalimentare. Sempre più spesso, la pirateria agroalimentare internazionale utilizza, infatti, denominazioni geografiche, marchi, parole, immagini, slogan e ricette che si richiamano all’Italia per pubblicizzare e commercializzare prodotti che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale. A livello mondiale, le stime indicano che il giro d’affari dell’Italian sounding superi i 60 miliardi di euro l’anno (164 milioni di euro al giorno), cifra 2,6 volte superiore rispetto all’attuale valore delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari (23,3 miliardi di euro nel 2009).
Gli effetti economici diretti dell’Italian sounding sulle esportazioni di prodotti agroalimentari realmente made in Italy, si traducono, inevitabilmente, in effetti indiretti sulla bilancia commerciale, in costante deficit nell’ultimo decennio (3,9 miliardi di euro nel 2009).
Secondo il Rapporto Eurispes-Coldiretti, per giungere a un pareggio della bilancia commerciale del settore agroalimentare italiano, ad importazioni invariate, sarebbe sufficiente recuperare quote di mercato estero per un controvalore economico pari al 6,5% dell’attuale volume d’affari dell’Italian sounding.
Il recupero di quote di mercato per un controvalore economico superiore al 6,5%, avrebbe, viceversa, assicurato un surplus della bilancia commerciale, con effetti positivi sul Pil del comparto agroalimentare e dell’intero Sistema paese.