Recuperare un rapporto “costruttivo” con i consumatori, in particolar modo quelli più sensibili al tema di una “corretta alimentazione” e, di conseguenza, recuperare il percorso di crescita desiderato di fatturati e utili, che in questo momento si è inceppato com’è visibile dai risultati di bilancio. Questo è quel che appare piuttosto nitido a leggere in trasparenza la mossa delle sei maggiori multinazionali del cibo elaborato – Coca-Cola, Mars, Mondelez International, Nestlè, Pepsico, Unilever – che hanno deciso di rompere gli indugi sul tema controverso dell’etichettatura degli alimenti e proporre in Europa uno schema cosiddetto “a semaforo”, simile a quello utilizzato in Inghilterra (bollino rosso per i prodotti a più alto tenore di grasso, zucchero o sale e poi giallo e verde per i più “salutari”) ma con delle differenze strategiche che giochino a proprio favore anche nelle categorie più controverse. In altri termini, un’etichettatura apparentemente friendly ma in realtà molto tagliata sulle attuali esigenze dei colossi del settore food & beverage.
MADE IN ITALY NEL MIRINO – Una mossa che ha fatto infuriare molti in Italia, a partire dagli alfieri del made in Italy come il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina (un renziano molto considerato), la vicepresidente di Federalimentare Luisa Ferrarini e l’eurodeputato Paolo De Castro, gran conoscitore del mondo agroindustriale. Il perché è semplice: nel Regno Unito tanti nostri formaggi, salumi, oli e così via hanno ricevuto il bollino rosso mentre i soft drink edulcorati hanno il verde. Una situazione che, vista dall’angolatura della dieta mediterranea, ha del paradossale.
LE MULTINAZIONALI TENTANO LE CATENE NORD EUROPEE – E’ pacifico – dice a Food proprio Paolo De Castro, primo vice presidente alla Commissione agricoltura del Parlamento europeo – che ci sia un divieto degli stati membri a introdurre legislazioni che consentano le etichette a semaforo. Non credo che vi sia nessuna modifica allo studio neanche a livello di Commissione europea (dove nascono le norme, ndr), ma il 13 marzo mi incontrerò per una verifica proprio con il commissario per la Salute e sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitis, cui chiederò pronunciarsi in materia per agire in difesa dei consumatori e del Made in Italy. L’Inghilterra aveva cercato di introdurre il semaforo con legge ma ha fatto marcia indietro e sono state le catene distributive che le hanno ‘volontariamente’ adottate, in modo da evitare una proceduta di infrazione che, peraltro, non ha più senso con la Brexit. Il tema resta sempre questo: la mossa delle sei multinazionali va letta nel senso di proporre un modello di etichetta che poi qualche grande catena di supermercati adotti, e sappiamo che nel Nord Europa c’è un interesse specifico di alcune catene di gdo per questo tipo di comunicazione al consumatore. Insomma, che si segua la strada già tracciata dal Regno Unito.
UN SISTEMA CHE PREMIA IL CIBO ELABORATO – D’altronde in Inghilterra i semafori hanno avuto il loro peso nel convincere i consumatori a scegliere più spesso i cibi col bollino verde, anche a scapito di prodotti nostrani come parmigiano reggiano e grana padano, ma non solo di questi. Le grandi multinazionali, seguendo quelle che sono i nuovi trend in fatto di alimentazione, hanno molto investito negli ultimi in prodotti “light”, “zero”, “free from” per raccogliere i messaggi che arrivavano dai consumatori e adesso proponendo questo sistema a etichette, che ovviamente renderà ancor più visibili al consumatore certe elaborazioni alimentari, vogliono raccogliere il massimo in termini di vendite, andando a discapito di chi parla di qualità delle materie prime e attenzione ai processi di trasformazione. Noi siamo per le etichette che evidenzino l’origine dei prodotti – spiega De Castro -. Un concetto totalmente diverso da chi giudica un alimento solo dalla quantità di sale o di grasso, estrapolando il dato da tutto il resto. Con questo concetto l’olio extravergine d’oliva prede il bollino rosso e la cola light il verde. Credo sia evidente che qualcosa non funzioni.
IL TRUCCO DEL CALCOLO “A PORZIONE” – Certamente c’è qualcosa che non torna, ma la questione sembra essere meno semplice del previsto. Il sistema studiato dalle sei multinazionali prevede i bollini a semaforo, ma diversamente da quello inglese è basato non una normalizzazione a 100 grammi o millilitri di prodotto. La sua base di calcolo è “a porzione”, un concetto decisamente variabile e strumentalizzabile per il quale, ad esempio, uno snack al cioccolato, che preso sui 100 grammi avrebbe un bollino rosso, in una dose di 30 grammi diventa giallo e quindi accettabile. Questo spiega la presenza nel team di società che producono cioccolato e snack dolci, o patatine. Ma per i prodotti made in Italy non è un gran sollievo, a meno di non porzionare in modo esasperato una forma di grana o di prosciutto crudo già affettato per evitare il bollino rosso.
LA FRANCIA TENTATA DALL’INTRODUZIONE – I dubbi non si fermano qui: ad aprile il ministero della Salute francese renderà noto uno studio sulle etichette alimentari che ha comparato quelle attualmente in uso con quelle a semaforo inglesi e quella Nutriscore a cinque colori che sembra funzioni molto bene ma che è molto avversata dalle grandi industrie. Lo scopo dello studio è verificare “nel concreto” cosa comprende e sceglie il consumatore al supermercato di fronte alle varie etichette. Lo studio nasce dalla necessità del ministero francese di rispondere alla obesità crescente che, dice il quotidiano Le Monde, è pari al 17 per cento. Secondo il quotidiano parigino la scelta delle multinazionali di uscire allo scoperto con questa proposta arriva poco prima degli esiti dello studio, che sarebbe finanziato per metà proprio da industriali del settore alimentare, per convincere il ministero che la via dell’autoregolamentazione è corretta e che non è necessario un intervento legislativo. Il problema è che se anche la Francia, Paese ad alta cultura alimentare, dovesse farsi tentare dalle etichette a semaforo, l’Italia resterebbe più sola nella propria battaglia politica a difesa del made in Italy e le grandi catene francesi, che agiscono a livello mondiale, potrebbero esportare il modello anche altrove.