Il lungo periodo nero del latte non accenna a concludersi. Anche nel 2016 la categoria ha continuato a flettere, con i consumi in netto calo. Sono diverse le ragioni alla base di questa crisi che non riguarda solo l’Italia, ma più in generale il mondo occidentale: la concorrenza delle bevande vegetali che crescono a doppia cifra e che vengono percepite come alternative più “salutari” e “digeribili”, l’affermarsi dei trend vegano e animalista, l’ascesa del free from e così via. A perdere sono soprattutto le referenze tradizionali, latte fresco e Uht, mentre a salire sensibilmente è il senza lattosio, e più in generale il segmento dell’alta digeribilità, ma anche quello biologico. Sembra evidente che il futuro del comparto sarà sempre più legato a prodotti con un elevato contenuto salutistico e che per risollevare i consumi le aziende dovranno convogliare gli investimenti in ricerca e innovazione.
Tutti i numeri
Il mercato del latte vale circa 1,8 miliardi di euro, ma il 2016 si è chiuso con una nuova flessione. La categoria conferma la dinamica negativa sia a valore con un -5,8% che a volume con un -3,2% (fonte: Nielsen totale Italia Iper+Super+Liberi servizi+Discount+Traditional grocery, a.t. 1 gennaio 2017). Sia il latte fresco che l’Uht perdono – spiega Marila Scarcella di Nielsen. Il primo cala del -4,4% a valore e del -3,5% a volume, mentre il secondo del -6,7% a valore e del -3,1% a volume, nonostante la flessione dei prezzi. I latti speciali (alta digeribilità, senza lattosio, ecc.) crescono del 13,7% a valore e del 14,8% a volume, così come il segmento biologico che fa registrare un +7,5% a valore e un +8,3% a volume.