Maremma che bacche (di Goji)

Il Cnr e l'Università di Siena danno vita ad una filiera 100% italiana in Toscana, per valorizzare questo superfood molto amato in Italia e con vendite in decisa crescita
Maremma che bacche (di Goji)

Arance, pesche, albicocche, ciliegie, sono tutte piante da frutto comunissime in Italia ma originarie della Cina, dalla quale sono state importate in epoche anche remote. Anche i kiwi hanno quest’origine: delle loro proprietà benefiche (è una grossa fonte di vitamina C) gli italiani se ne sono innamorati a tal punto che l’Italia ne è diventata il secondo produttore mondiale scavalcando anche la Nuova Zelanda, dalla quale abbiamo imparato a conoscerli e apprezzarli. Adesso è il turno di un altro frutto che, partito dal Tibet dove origina, finirà per sbarcare nella Maremma toscana. Territorio dove sta nascendo la prima filiera 100% italiana delle bacche di Goji, i piccoli frutti rossi che, essiccati, sono diventati negli ultimi due anni uno dei fenomeni alimentari più “virali” per i loro presunti benefici sulla salute, e già oggetto di un piccolo culto.

UNA COLLABORAZIONE TRA CNR E UNIVERSITA’ DI SIENA

A sviluppare questa filiera sarà il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) con il suo Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree (Ivalsa) in collaborazione con l’Università di Siena. L’obiettivo è duplice: da un lato quello di garantire una corretta sicurezza alimentare secondo gli standard europei e italiani, dato che non sempre le bacche di Lycium barbarum (questo è il nome scientifico) importate dalla Cina (o da altri Paesi produttori) rispettano i nostri requisiti. Dall’altro quello di selezionare le piante in grado di dare i frutti ricchi di sostanze antiossidanti, motivo per il quale questi frutti sono sempre più apprezzati dai consumatori italiani.

OBIETTIVO SICUREZZA ALIMENTARE

Ci siamo concentrando – ha spiegato all’Ansa il ricercatore del Cnr Claudio Cantini – su tre direttive per selezionare i migliori sistemi di coltivazione dal punto di vista agronomico ed economico, ma anche di essiccazione e conservazione dei frutti, in modo da realizzare un sistema di tracciabilità in grado di garantire al consumatore sia la provenienza che la qualità del prodotto collocato in commercio. Relativamente al secondo obiettivo, Vorremmo – ha detto Cantini – aprire una nuova strada agli agricoltori indicando loro il grande potenziale di queste coltivazioni, individuando le piante più adatte a sviluppare i frutti con maggiore potere antiossidante, perchè ci sono differenze sia tra varietà sia tra periodi dell’anno in cui i frutti sono più carichi di .polifenoli, vitamina C e luteina, tutte sostanze in grado di neutralizzare i radicali liberi. Il tutto confortato dai risultati del test Orac (Oxygen Radical Absorbance Capacity) elaborato dal Ministero dell’Agricoltura degli Usa.

NIELSEN CERTIFICA LA FORTE CRESCITA DELLE VENDITE

Vi sono anche altri studi che sollevano ancora dubbi sulle effettive capacità benefiche e curative di queste bacche, che sono comunque usate da millenni nella medicina tradizionale cinese. Secondo una ricerca internazionale elaborata da Nielsen e riportata dal mensile Food nel numero di aprile 2017, però, ben sette italiani su dieci sono convinti delle loro virtù benefiche. Percentuale più alta tra tutti i Paesi europei, e ben più alta del credito che gli italiani danno agli altri cosiddetti “superfood”, quali i semi di lino, di chia, di zucca, o alimenti quali la soia, la curcuma, i mirtilli, le patate e carote viola, l’avocado, l’alga spirulina, il tè verde. Insomma, siamo diventati addicted alle bacche di goji, che nel 2016 hanno visto una crescita delle vendite nei supermercati di ben il 64% (dato Nielsen) e valgono già 12 milioni di euro di fatturato, senza contare le erboristerie e gli altri negozi specializzati. Molte buone ragioni per sviluppare una filiera italiana e seguire questo trend che ora appare molto forte, all’interno del mondo del cibo salutistico e che potrebbe prestarsi a usi ben più variegati di quelli attuali.

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