Tempo di bilanci – e di diagnosi – per la rete degli ipermercati in Italia. Secondo un’analisi di Nielsen, a partire dal 2003 lo sviluppo degli ipermercati in Italia si è praticamente arrestato. Se ancora fino alla seconda metà degli anni Novanta gli ipermercati guadagnavano circa un punto di quota ogni anno, la crescita negli ultimi otto anni è stata molto lenta: nel 2003 lo share era a 25,4% del mercato grocery e la quota è rimasta pressocchè invariata dal 2008 (27,2%) a oggi (27,5%).
Si è assistito inoltre a un’importante trasformazione dell’offerta degli ipermercati. In particolare – sempre secondo Nielsen – negli ultimi anni, le principali catene hanno preferito puntare su negozi mediamente più piccoli rispetto alle grandi strutture aperte nei primi anni 2000, per cui il forte sviluppo degli ipermercati con metrature superiori agli 8mila mq si è arrestato. In media, la superficie degli iper più recenti è di 4.077 mq (a fronte dei 5.018 mq di quelli precedenti). Ma, soprattutto, crolla la redditività: il fatturato al mq è calato a 5.498 euro, –26,4% rispetto ai 7.466 euro degli iper più storici.
Negli ultimi anni, inoltre, – come sottolinea il commento di Nielsen – i big player del canale ipermercati, per fronteggiare la crisi, hanno preferito riorganizzare i punti vendita esistenti, razionalizzando e rivedendo l’offerta, soprattutto nei reparti non food.
Nel periodo di crescita più impetuosa, l’ipermercato aveva tra i suoi principali appeal l’offerta di prodotti in promozione, distinguendosi nettamente dai supermercati.
Negli ultimi anni, peraltro, il peso delle attività promozionali sul sell out complessivo a valore nel trade moderno (iper+super+libero servizio) è aumentato dal 19,8% del 2004 al 25,9% del 2010 e al 26,7% del primo semestre 2011.
Dal 2004 al 2011, in parallelo, la differenza dell’incidenza delle offerte promozionali tra un supermercato/superstore (sotto i 4.500 mq) e un ipermercato (sopra i 4.500 mq) si è ridotta drasticamente, passando da un indice di 10 nel 2004 a 4,8 nel 2010 e a 5 nel periodo gennaio-giugno di quest’anno.
Gli operatori degli iper hanno dovuto fare i conti anche con una crescente esigenza di semplificazione della spesa e, per questo, hanno razionalizzato i propri assortimenti.
In particolare, nell’ultimo anno, risulta una riduzione del numero di articoli a scaffale per le grandi superfici, in controtendenza rispetto ai trend registrati negli altri canali: se in media, negli iper+super il numero di referenze è cresciuto del 2,08%, negli iper (sopra i 4.500 mq) è calato dello 0,84%, mentre nei superstore (2.500-4.499 mq) è aumentato dello 0,46%, nei super tra 1.500 e 2.499 mq del 2,82%, in quelli tra 800 e 1.499 mq dell’1,78% e nelle superette (400-799 mq) del 2,03 per cento.
Anche sulla leva del prezzo, gli ipermercati hanno dovuto fronteggiare la maggiore aggressività dei supermercati, la cui convenienza si è progressivamente avvicinata a quella delle grandi superfici.
Peraltro, le flessioni di fatturato più significative degli ipermercati si sono registrate sull’area del non food: in particolare, nelle categorie merceologiche del bazar pesante (per esempio, grandi elettrodomestici), dato che i consumatori si sono sempre più spesso rivolti alle grandi superfici specializzate.
Last but not least, l’affermazione delle formule di prossimità negli ultimi cinque anni ha eroso ulteriori quote e appeal agli iper. La forte espansione dei discount e la riqualificazione dei punti di vendita con superfici medio-piccole, localizzate in bacini densamente popolati, hanno costituito un disincentivo alla visita delle grandi superfici, mediamente localizzate più lontane dai centri urbani.
Ipermercati, i numeri della crisi
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