Le piccole e medie aziende del sistema produttivo alimentare italiano sono l’autentico motore di questo settore, ancora molto – e forse troppo – polverizzato. Si tratta, da un lato, di un banale fatto quantitativo, perchè sono numericamente molte di più delle imprese di media e grande dimensione. Ma non è solo questo il punto: le PMI sono quelle che, spesso, avviano i processi di evoluzione nel mercato del cibo, perchè molto più flessibili delle grandi aziende nel sapersi adeguare ai cambiamenti e a saperli cogliere, perchè per allargare i propri orizzonti hanno maggiore necessità di sperimentare e in questo processo risultano più ‘attente’ e ‘vicine’ ai bisogni del consumatore. A inizio 2016 le società di rilevazione delle vendite in Gdo – Iri e Nielsen – avevano captato questo segnale, evidenziando il passo più spedito delle piccole e medie società rispetto alle grandi, dati di sell out alla mano. In un momento in cui il mercato dava i primi, timidi, segnali di miglioramento, erano le società più piccole a cogliere gli input lanciati dai consumatori, e tradurli in offerte appetibili a scaffale. D’altronde, se anche la Nutella di Ferrero non è più il monolite invincibile sullo scaffale (le sue vendite in Italia sono in discesa), attaccata dalle offerte di tante piccole società che stanno innovando la categoria, c’è possibilità in ogni comparto di trovare qualche piccolo campione in erba.
Osservando le PMI
Dopo aver presentato, sul numero di dicembre, la consueta classifica redatta dall’Ufficio Studi di Mediobanca sulle maggiori imprese presenti in Italia, Food inizia il 2018 con uno spazio dedicato alle società minori, quelle con un fatturato compreso tra 10 e 100 milioni di euro. I dati sono sempre dell’istituto di Piazzetta Cuccia, che da 14 anni affianca la nostra rivista in queste analisi. Non tutte le società hanno espresso performance positive, ma ci sono aziende e gruppi che nel 2016 – un anno giudicato non semplice per la congiuntura interna – hanno riportato crescite significative, anche se più a livello di fatturati che non di margini. Troverete le case history di aziende che dimostrano la volontà di crescere e farsi largo nella competizione e che stanno ben operando per cogliere quelli che sono i trend più interessanti. Tra quelle che registrano performance particolarmente positive, c’è Alce Nero, sempre più leader del biologico; Villa Sandi, che cavalca l’onda del prosecco con un’attenzione alle tecniche produttive; Villani impegnata in tanti progetti di ricerca per migliorare produzione e trasformazione della carne suina; Rodolfi Mansueto, che si proietta sempre più all’estero; Amica Chips e la sua offerta sempre più apprezzata; Pizzoli, che ha varato un nuovo polo logistico per confermare la propria posizione di leader nelle patate surgelate.
Villani, salumieri da esportazione
Nel settore dei salumi, che vive un periodo non certamente brillante sul mercato interno, spicca la performance del gruppo Villani, che nel 2016 ha messo a segno una crescita dei ricavi netti consolidati del 10,3% a 95,8 milioni di euro. Un risultato di tutto rispetto, che è frutto di una crescita soprattutto delle esportazioni. D’altronde il settore, come molti altri, trova gli unici spunti positivi proprio fuori dai confini nazionali. Per il gruppo Villani l’export vale 40,2 milioni di euro, ovvero il 41% dei ricavi consolidati. Tra le società controllate, è da evidenziare la Maletti 1867, che opera nella gastronomia non solo a base di carne e che ha riportato ricavi in crescita del 17%. Alla crescita dei ricavi non ha fatto seguito, però, un incremento proporzionale dei margini reddituali, a causa di costi operativi che sono cresciuti in maniera sostanziale, come ha sottolineato anche la società. Il margine operativo lordo (Ebitda) di gruppo è sostanzialmente invariato a 5 milioni di euro, anche a causa di una crescita del costo del lavoro (i dipendenti salgono di 17 unità a 214 totali, di cui 10 dirigenti), mentre gli utili netti salgono del 24% a 2,25 milioni di euro. Tra le società controllate, la filiale francese ha riportato utili netti per 254 mila euro, mentre la società brasiliana Cmc, di cui Villani detiene il 37,5%, ha riportato una perdita di 86 mila euro. La capogruppo ha in essere alcuni progetti di ricerca e tra questi uno per lo sviluppo di salumi cotti e stagionati “formulati per la prevenzione di malattie associate alla dieta” specifica la società, uno per “la selezione genetica di suini in grado di produrre carni a ridotto tenore di ferro” e uno per tecnologie di produzione di salumi senza l’aggiunta di nitrati e nitriti. Tra i fatti eccezionali dell’anno c’è la cessione delle quote in Banca Emilveneta per 147 mila euro complessivi (non viene indicato se con una plusvalenza o meno). Gli strumenti derivati di copertura che utilizza la società avevano una perdita potenziale di 154mila euro a fine 2016.
Leggi l’intera inchiesta sul numero di gennaio 2018 di Food.