Il tema che tiene banco ufficiosamente (poco ufficialmente,
basta vedere il tenore dei summary dei convegni) è questo: la crisi finanziaria prima, quella economica poi, quella sociale adesso stanno radicalmente cambiando i comportamenti di acquisto e di consumo. L’analisi è meccanica e non può trovare contrasti. Le risposte dell’universo idm-gda invece si dividono. Proviamo a porre alcune domande semplici per l’industria di marca: i fondamentali sono a posto? Il portafoglio prodotti è adeguato ad affrontare questo cambiamento radicale? È stato ripulito a sufficienza da brand e prodotti che non incontravano più i favori dei consumatori? Le politiche di prezzo sono adeguate? Le materie prime per alcuni prodotti sono state sostituite con altre sulle quali è possibile fare un pricing adeguato? Nel cambio delle materie prime siete sicuri dei livelli di qualità raggiunti? Alcune domande anche per la gda: gli assortimenti sono adeguati ad affrontare una radicale sostituzione di brand-prodotti (Mercadona due anni fa ha ridotto da 10mila a 9mila le referenze in assortimento)? La scala prezzi ha una forbice sostenibile o i prodotti a marchio del distributore hanno un prezzo troppo vicino a quello dei brand dell’industria di marca? Le categorie coperte dagli store brand sono sufficientemente ampie e profonde?
Le promozioni di prezzo…
Ahi, le promozioni… Su questo passaggio è necessario fare chiarezza: la pressione promozionale è al 26%, in alcune categorie è doppia e nulla sembra fermare questa tendenza. Aggiungiamo allora altre domande, fatte dal consumatore quando acquista un brand-prodotto: “Sto pagando il giusto? Qual è il prezzo vero del prodotto che sto acquistando?” Domande semplici che non sempre gli addetti al pricing si pongono. Almeno fino a luglio: le vendite, seppur sull’ottovolante, infatti, proseguono.
E adesso? Che succederà in questo autunno denso di incognite politiche, finanziarie, economiche e, appunto, sociali?
Succederà, a nostro avviso, quello che sta succedendo per i debiti sovrani di Paesi come il nostro: gli investitori (i consumatori) cercano e cercheranno altre alternative: più sicure, più trasparenti, più reali, più legate alla fiducia sui comportamenti tenuti e da tenere da parte dei politici.
È vero che c’è un ritorno a pranzare e cenare a casa: questo non può che far bene al sistema della idm-gda, ma gli assortimenti sono a posto? Il peso dei semilavorati, dei pronti da cucinare, la loro comunicazione è sufficiente? I prezzi sono competitivi nella battaglia orizzontale con la ristorazione? Se le famiglie, se i single fanno i conti su quanto costa cucinare una cena o un pranzo (prodotti certo, ma anche luce e gas, il tempo necessario) e scelgono il fai da te in casa nel paragonare la cena in pizzeria o al ristorante, è sufficiente per tenerli legati, anche con i programmi fedeltà, alle diverse formule di supermercati-ipermercati?
La risposta è osservabile nell’andamento degli altri canali di vendita e dalla loro pressione promozionale: i negozi specializzati (panetterie, produttori di pasta, enoteche) tengono, i mercati ambulanti e l’auto-produzione non sentono soste, i gruppi di acquisto solidale e non solo di alimentari si moltiplicano, il discount (in generale) continua a macinare vendite.
In pratica: la gda guadagna dai ristoranti ma perde qualcosa verso tutti gli altri canali di vendita o di produzione diversa. Il discount lo scorso anno ha perso clienti il sabato: è stato un campanello di allarme che ha costretto le diverse insegne a rivedere assortimenti e politiche di prezzo.
E allora torna la domanda: di fronte alla crisi sociale montante e ai cambiamenti di acquisto e di consumo, i fondamentali, i basic sono a posto? Facciamo questa domanda senza rispondere, ovviamente, perché andrebbe fatta una mappatura completa delle politiche assortimentali e di prezzo delle diverse insegne. Solo allora si dichiarerebbero comportamenti difformi e una spaccatura nel gradimento ovvero delle insegne e dei diversi produttori di marca e non. Luigi Rubinelli
Idm-gda, esame di coscienza
© Riproduzione riservata