Viaggia sul binario ‘cibo & vino’ l’alta velocità dell’export enologico Made in Italy. Ad evidenziarlo a Vinitaly 2018, con un’analisi della geografia dell’export agroalimentare italiano, il convegno ‘Vino e agroalimentare, la ricetta vincente del nostro export’, organizzato dall’Istituto marchigiano di tutela vini. Secondo le elaborazioni di Nomisma Wine Monitor, infatti, tra il 2007 e il 2017 le esportazioni delle due categorie merceologiche hanno registrato andamenti pressoché paralleli, con valori delle vendite che sono aumentati nel decennio rispettivamente del 68% (agroalimentare) e del 69% (vino), ed è proprio dove c’è cibo italiano che trova più fertile mercato anche il vino tricolore. Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Francia, che assorbono complessivamente il 56% delle esportazioni di vino, sono anche le quattro principali destinazioni dell’agroalimentare, con quasi la metà della quota export (45%, per un valore complessivo di 18 miliardi di euro) e circa il 30% dei ristoranti italiani fuori dai confini.
Il caso degli Stati Uniti
Caso paradigmatico gli Stati Uniti, dove i prodotti italiani hanno trovato la collocazione ideale proprio a tavola, in un matrimonio ‘cibo e vino’ capace di parlare autenticamente italiano ai consumatori americani. E a dimostrarlo sono i numeri, che incoronano gli Stati Uniti il primo mercato per il vino (23% la quota export a stelle e strisce, 1,6 miliardi di euro) e per la ristorazione italiana all’estero (17% dei ristoranti), e il secondo per l’agroalimentare (11%), ma con un potenziale che rimane ancora inespresso. La forza comunicativa della nostra cucina viene spesso data per scontata – ha detto Alberto Mazzoni, direttore del maxiconsorzio marchigiano – ma anche la survey presentata al convegno inaugurale di Vinitaly ci ha ricordato che quasi un terzo dei consumatori americani ci chiede di puntare ancora di più sull’abbinamento vino e cibo. E si tratta del mercato più maturo. Ma anche se chiediamo in tre piazze diverse come Regno Unito, Cina ed Emirati Arabi quale sia il settore più rappresentativo del Made in Italy – ha concluso – la risposta è sempre la stessa: per il 40% cibo e vino riescono a comunicare la nostra cultura meglio della moda, dell’automotive e dell’arredamento/design. È su queste basi che abbiamo fondato la nostra scommessa con Food Brand Marche, un marchio unico per promuovere il territorio attraverso le eccellenze dell’agroalimentare, a partire dal Verdicchio, che quest’anno festeggia anche il 50esimo dal riconoscimento della Doc.
La realtà delle Marche
Nel decennio 2007-2017 il vino delle Marche è cresciuto all’estero del 41%, a fronte di un aumento del 56% dell’agroalimentare regionale, di cui rappresenta il prodotto trainante con un quinto del valore dell’export. Ma il binomio Food & Wine è sempre più una variabile decisiva anche per il turismo, in particolare quello del Belpaese. Più della metà dei turisti italiani (52%), infatti, riconosce nell’offerta enogastronomica marchigiana uno dei maggiori punti di forza della regione, al secondo posto dopo i borghi e le città d’arte, e con un impatto economico pari a 355 milioni di euro (dato 2016). Tra i vini – ha spiegato ancora Alberto Mazzoni – è sicuramente il Verdicchio dei Castelli di Jesi il prodotto trainante, conosciuto dal 64% dei visitatori, che in 4 casi su 10 finiscono anche per acquistarlo. Campione di qualità per le principali guide enologiche del Paese, con 107 vini premiati nel 2017 e ben 255 etichette con i massimi punteggi tra il 2014 e il 2018, il Verdicchio è anche uno dei prodotti più amati e versatili nel matrimonio con la cucina. Un’indagine Imt infatti ne conferma la presenza nel 67% dei ristoranti (l’83% nell’alta ristorazione) con in media 3 o 4 etichette, scelto in più della metà dei casi anche per la versatilità nell’abbinamento delle pietanze. Sul lato consumer, sono il 38% quelli che lo bevono, per lo più al ristorante o durante i pasti a casa.