Non è certo un segreto che quello del cibo sia stato uno degli argomenti più dibattuti durante la campagna referendaria che ha portato alla Brexit. I Brexiteers, del resto, hanno martellato sull’idea che l’Unione Europea avesse imposto una sorta di racket protezionistico, negando ai player d’oltremanica l’opportunità di rifornirsi in mercati più convenienti e ridurre quindi il prezzo finale. Si tratta degli stessi, insomma, che oggi si aspettano un taglio dello scontrino medio per centinaia di prodotti, a cominciare da prosecco, vino, fragole e miele. Tutto ciò perché, nonostante la difficile trattativa con Bruxelles, altri Paesi sarebbero pronti a stipulare vantaggiosi trattati di libero scambio con il Regno Unito. Nello specifico la lista comprenderebbe almeno 35 nazioni, dagli Stati Uniti al Brasile, passando per Australia, Svizzera e Norvegia. Tutti partner, secondo i sostenitori del Leave, disponibili a siglare accordi commerciali su misura, in grado di tutelare l’economia britannica e gli interessi dei sudditi di Sua Maestà. Ma questa è solo una delle correnti di pensiero.
L’IPOTESI NO-DEAL
Decisamente meno ottimistico è invece lo scenario appena ipotizzato da una ricerca di Barclays. Senza un accordo con l’UE, infatti, nel dopo Brexit i rivenditori inglesi si troverebbero a pagare tasse per 9,3 miliardi di sterline all’anno, cioè quasi 10,5 miliardi di euro, considerando dazi in media del 27%. Davvero troppo per i margini già risicati dei big player inglesi, tra l’altro ancora in piena guerra dei prezzi, come dimostra il lancio del discount Jack’s da parte di Tesco.
BREXIT E DAZI ALLE STELLE
Secondo Ian Gilmartin, Head of Retail di Barclays Corporate Banking: “Alcuni prodotti eviterebbero le tariffe, anche in uno scenario senza accordi, ma per la maggior parte dei beni gli effetti di un aumento dell’onere tariffario saranno estremamente dannosi”. Un elenco, in questo caso, che spazia dal manzo congelato, per il quale è previsto dazio vicino al 300%, fino al succo d’arancia, con un tariffa in rialzo del 180%.
I TIMORI PER LA QUALITÀ
Secondo il rapporto, inoltre, ogni spedizione di merci dall’Unione Europea richiederebbe il rilascio di una specifica dichiarazione doganale, con un esborso non inferiore alle 50 sterline. Un altro tasto dolente, poi, riguarda le norme di sicurezza alimentare e, dunque, anche la qualità dell’offerta. Numerosi analisti, non a caso, paventano il rischio di una revisione al ribasso degli standard, per favorire almeno in una prima fase le intese con gli eventuali nuovi partner.
L’EXPORT ITALIANO
Intanto, con un giro d’affari vicino ai 56 miliardi di euro, il Regno Unito rappresenta il sesto mercato al mondo per import di prodotti agroalimentari italiani e il secondo per consumi a livello europeo.