“Questo matrimonio non s’ha da fare”. Alessandro Manzoni – non ce ne voglia – non c’entra in questo caso. Più prosaicamente questo perentorio diktat arriva da Stuart McIntosh, che per l’Antitrust inglese (la CMA – Competition and Markets Authority) ha dovuto elaborare il giudizio sull’integrazione societaria che avrebbe dovuto creare il maggior player della grande distribuzione in Gran Bretagna, superando Tesco. Ovvero quella tra Sainsbury’s e Asda, l’insegna inglese del gruppo Walmart. Un’operazione da 7,3 miliardi di sterline, in predicato di creare un soggetto da 51 miliardi di sterline di ricavi aggregati (dato 2017) e il 32% di quota di mercato, di cui il 27% solo nel grocery, che è stata sonoramente bocciata e non vedrà più la luce. Per stessa ammissione anche delle due società, che hanno preso atto di questa decisione.
IL NO DELL’ANTITRUST
Cos’è successo di così irreparabile? “E’ nostra responsabilità proteggere i milioni di consumatori che fanno acquisti da Sainsbury’s e Asda ogni settimana. Crediamo che questo deal porterebbe a una crescita dei prezzi e a una riduzione della qualità e della scelta dei prodotti sullo scaffale, o comunque a un impoverimento dell’esperienza di acquisto dei clienti di entrambe le catene” ha scritto McIntosh nel suo report finale. Un colpo d’ascia netto, senza esitazioni, sull’accordo tra le due società che, al contrario, avevano venduto la fusione come un’opportunità per gli inglesi, che avrebbero goduto di ribassi dei prezzi fino al 10 per cento in un periodo nel quale la debolezza della sterlina aveva alzato l’inflazione del carrello. “La CMA oggi ha tolto dalle tasche dei consumatori un miliardo di sterline” è stata la risposta – stizzita – di Mike Coupe, gran capo di J Sainsbury, che ha aggiunto: “Sainsbury’s è una grande organizzazione e resto fiducioso nella nostra strategia. Siamo focalizzati nell’offrire ai nostri consumatori grande qualità, valore e servizi, rendendo gli acquisti da noi i più convenienti possibile”.
IL RISCHIO DI UN AUMENTO DEI PREZZI
La CMA non ha evidentemente creduto al miliardo di sterline che sarebbe rimasto n tasca ai consumatori e ha anzi sottolineato come il rischio di un aumento dei prezzi fosse ben maggiore di quello di una diminuzione. L’unico modo per poter scongiurare questo problema sarebbe stato far cedere ai due ‘promessi sposi’ un gran numero di punti vendita o qualche marchio importante del loro bouquet. Ma questa cura non è, evidentemente, piaciuta e quindi si è preferito lasciar perdere. Nell’ultimo anno, mentre le società aspettavano il verdetto dell’antitrust, i titoli J Sainsbury, quotati alla Borsa di Londra, hanno ceduto il 20% circa del loro valore e questo sarà sicuramente un tema che sarà affrontato dagli azionisti del retailer quando si tratterà di rinnovare la fiducia a Coupe.
ASDA, SAINSBURY’S E IL SOLLIEVO DEI FORNITORI
Chi può invece festeggiare, e in effetti lo ha fatto, sono i sindacati dei lavoratori e i fornitori, e tra questi anche quelli italiani. Su di loro sarebbe ricaduto un onere importante per questa fusione. Se l’operazione fosse stata approvata, infatti, i primi tre attori del retail avrebbero avuto circa il 70% del mercato ( o l’82% contando anche Aldi e Lidl, in grande ascesa negli ultimi anni in Gran Bretagna). Al 32% di cui è accreditata Sainsbury-Asda (27% nel solo grocery) si sarebbe dovuto infatti sommare il 28% del futuro ex leader Tesco (25% nel solo grocery) e l’11% di Morrisons. Numeri alla mano, qualcosa che aveva tutte le sembianze di un oligopsonio, ovvero un assetto di mercato caratterizzato da pochissimi acquirenti con un grande peso e molti fornitori che hanno ben poche opzioni nella scelta sul chi rifornire. Va da sé che, in questa situazione, per il mondo della produzione non sarebbe stato semplice trovare il giusto equilibrio tra necessità di vendita e prezzi da praticare che garantiscano una redditività decente, tanto più se si hanno costi in euro, che si è rivalutato nei confronti della sterlina dopo il referendum sulla Brexit. Cosa succederà ad Asda adesso? E’ noto che la catena americana Walmart voglia alleggerire la sua presenza in Inghilterra, e per fare ciò aveva anche accettato condizioni di cessione che l’avrebbero costretta a iscrivere in bilancio due miliardi di dollari di minusvalenze. Cercherà subito un altro acquirente? O per il momento si siederà ad aspettare tempi migliori?