La pandemia di Covid-19 ha causato una crisi economica e sanitaria globale come non ne abbiamo mai viste in vita nostra. Impattando anche i sistemi alimentari di vari Paesi e ponendo l’accento sull’importanza della supply chain. Da tempo, del resto, è necessario un villaggio globale per nutrire il mondo, e se le scorte alimentari si interrompessero una crisi pandemica come quella del coronavirus si trasformerebbe velocemente catastrofe. A sottolinearlo è la società di ricerche S2G Ventures, il cui team ha dedicato gli ultimi mesi alla ricerca e al monitoraggio del Covid-19 e delle sue implicazioni sul settore del food & beverage.
Negli ultimi mesi sono emersi diversi problemi nella catena di approvvigionamento alimentare a livello globale. La pandemia sta mettendo in discussione la natura stessa della supply chain, stressando le reti logistiche e rafforzando l’importanza dell’accesso al lavoro. Ci sono poi preoccupazioni riguardo al ‘nazionalismo alimentare’ e alla ridefinizione della natura della sicurezza alimentare, dai sistemi globali a quelli nazionali. La pandemia ha evidenziato, secondo S2G Ventures, che è il momento di agire con urgenza – da parte dei governi e del settore privato – con investimenti a lungo termine, necessari per costruire un sistema alimentare più innovativo e resiliente.
COVID-19, SUPPLY CHAIN E MUTAMENTI DELLA DOMANDA
Se è vero che i settori agroalimentare e agricolo sono generalmente più resistenti in situazioni economiche sfavorevoli, diversi sotto-ambiti dipendono fortemente dal lavoro ‘in presenza’ e inevitabilmente risentono delle misure di distanziamento sociale, uniche nel loro genere, che gravano sulle imprese. Un esempio significativo è rappresentato dalle aziende di lavorazione della carne. Diversi grandi gruppi negli Stati Uniti sono stati costretti a chiudere gli impianti in seguito all’epidemia e all’elevato numero di contagi all’interno degli stabilimenti. La pressione su questo punto non colpisce solo allevatori e aziende, ma anche il consumatore.
Con l’aumento progressivo delle chiusure dei macelli, le vendite di prodotti di origine vegetale negli Usa sono aumentate del 200 per cento. La ‘plant-based meat’ al momento concerne ancora una piccola frazione del mercato, ma siamo comunque di fronte ad un segnale significativo da parte dei consumatori.
Il coronavirus sta cambiando notevolmente anche il modo in cui i consumatori acquistano, preparano e consumano il cibo. Tra il 2009 e il 2018, il consumo fuori casa è passato dal 50,1% al 54,4% del mercato. Ora, con l’allontanamento sociale e la sostanziale impossibilità di mangiare al ristorante, molti consumatori si sono convertiti alla cucina di casa, o all’ordinazione a domicilio – soprattutto mediante delivery. Nonostante quello del food sia un settore resiliente, la divaricazione tra spesa e fuori casa è diventata drammaticamente evidente e approfondita.
All’interno degli store alimentari americani i guadagni di quote di mercato delle private label stanno accelerando, mentre i consumatori riducono l’entità della singola spesa e cercano alternative orientate all’alto contenuto di servizio. In linea con i più recenti megatrend, è prevedibile che i consumatori diano sempre più la priorità a marchi ‘better-for-you’.
I TREND ALIMENTARI DEL FUTURO
I comportamenti d’acquisto dei consumatori, uniti alla crescente quota di innovazione dei prodotti, possono determinare cambiamenti nella distribuzione delle quote di mercato con effetti significativi sugli operatori. Anche se il Covid-19 non ha (ancora) creato nuove tendenze, diversi trend osservati poco prima del coronavirus hanno subito un’accelerazione. Tra questi spiccano le proteine alternative, le coltivazioni indoor, la digitalizzazione dell’agricoltura e del grocery e l’utilizzo del cibo come ‘farmaco’.
Nell’ambito della supply chain agro-alimentare la pandemia ha messo a nudo i problemi legati ai lunghi cicli di produzione delle industrie, alla produzione centralizzata e alla dimensione degli impianti di lavorazione. Ma ha anche generato una forte richiesta da parte dei consumatori di proteine alternative, tra cui vegetali, funghi, alghe e ‘carne’ prodotta in laboratorio. Qualunque sia la prossima generazione di proteine, S2G Ventures sostiene che velocità di produzione, prezzo e gusto saranno driver determinanti.
Infine, sta prendendo piede il trend del cibo come fattore di ‘salute e immunità’. La convergenza con scienza e tecnologia può sbloccare questo settore e inaugurare una nuova era basata su microbiologia, ingredienti funzionali, nutrizione personalizzata e alimenti medicali. Prima del Covid-19, questa tendenza era in gran parte legata a malattie della nutrizione. Ma la pandemia ha mostrato come il 90 per cento dei pazienti ospedalizzati sia affetto da problemi clinici pregressi, il più comune dei quali – se non altro negli Stati Uniti – è l’obesità.
IL MONDO DEL FOOD DOPO LA PANDEMIA
Dalla ricerca di S2G Ventures emergono diversi trend che potrebbero facilmente caratterizzare il mondo post Covid-19:
- La digitalizzazione delle filiere sarà probabilmente guidata dalla dis-intermediazione, per consentire nuove relazioni con il consumatore e ridurre i rischi lungo tutta la supply chain;
- I sistemi alimentari decentralizzati consentono l’uso estensivo dell’automazione nella produzione di proteine alternative e prodotti locali. Sono anche più coerenti con una logica omnicanale: l’e-commerce ne accelera l’adozione;
- La scomponibilità nella catena di approvvigionamento alimentare, unita a tecnologie che esercitino una pressione deflazionistica sull’industria, può aiutare a catalizzare agricoltura e allevamento su attributi che vadano oltre la resa (gusto, contenuto proteico, ecc.), un ritorno alla policoltura e il passaggio verso una rigorosa attenzione al profitto misurato per area coltivata;
- Infine, il ‘cibo come immunità’ ha il potenziale di colmare alcune lacune della sanità, puntando su produzione e consumo di alimenti per il trattamento di specifiche malattie croniche legate alla nutrizione.