Anche per i sughi pronti vale il popolare detto che “l’occhio vuole la sua parte”. Almeno così la pensa Barilla, che per migliorare la percezione dei suoi pesti a base vegetale a lunga conservazione, da quello alla genovese col basilico fino a quelli a base di pomodoro o altre verdure, ha intrapreso un percorso di innovazione sfociato in un brevetto internazionale che è stato reso pubblico nel 2020 dal World Intellectual Property Organization. Il problema da risolvere è di quelli molto noti tra i produttori di pesto che hanno una lunga shelf life, ovvero la tendenza che hanno la parte acquosa e quella oleosa degli ingredienti a separarsi col tempo, causando un effetto sgradevole alla vista. È esperienza comune di tutti i consumatori trovare vasetti di pesto al basilico, ad esempio, con l’olio completamente affiorato e diviso dalla parte vegetale. Una modificazione che “spesso si associa una percezione di deterioramento o, comunque, di perdita della genuinità del prodotto alimentare”, ha commentato Barilla nella descrizione del brevetto che Food ha visionato.
ATTENZIONE A VEGANI E INTOLLERANTI
Normalmente si cerca di ovviare al problema di far coesistere acqua e olii con gli emulsionanti, e i più usati sono il tuorlo d’uovo o alcuni derivati del latte. Il primo, però, è inadatto per ricette della tradizione italiana come il pesto “alla genovese”, mentre i secondi hanno il difetto, ben chiaro alla società parmigiana, di allontanare la scelta di tutti coloro che hanno intolleranze al lattosio o, ancor più, di quelli che hanno abbracciato un regime alimentare vegano, in grande ascesa in tutto il mondo occidentale. “L’utilizzo di tali ingredienti non viene percepito positivamente da parte del consumatore, sempre più attento e preoccupato circa la salubrità, e la genuinità degli ingredienti utilizzati per alimenti preparati industrialmente” scrive la società nelle sue note al nuovo brevetto, prendendo l’impegno di migliorare la propria gamma di pesti, distribuiti a livello internazionale – Stati Uniti in primis – tenendo conto anche di questi parametri, ritenuti tanto importanti quanto la percezione di freschezza e genuinità che dev’essere assicurata, peraltro, senza l’utilizzo di conservanti.
OK A COLZA, CANAPA, GIRASOLE E LUPINI
La quadratura del cerchio è arrivata con lo sviluppo di un “concentrato proteico”, il cuore del brevetto, derivato da semi oleaginosi tipo colza, girasole, canapa, lino o da semi di legumi – sentitamente quelli di lupino – che “non solo è in grado di emulsionare l’acqua e le sostanze idrosolubili in essa disciolte…ma in particolare permette anche di stabilizzare efficacemente la formulazione dal punto di vista della consistenza del fluido emulsionato complessivo e viscosità di quest’ultimo” spiega la società, puntualizzando che “il concentrato proteico secondo la presente invenzione si è dimostrato particolarmente efficace nello stabilizzare la struttura del prodotto durante il suo tempo di conservazione (shelf-life), specie durante le operazioni di movimentazione e trasporto, le quali – come noto – hanno un impatto negativo sulla sua stabilità del prodotto”. Questo tipo di concentrato proteico soddisfa anche gli altri target che la società si era posta: una formulazione rispettosa delle ricette italiane, adatta agli intolleranti al lattosio e a coloro che rifiutano alimenti di origine animale, il tutto senza conservanti aggiunti. Col vantaggio, promette la società dopo aver condotto le necessarie prove di laboratorio, di mantenere la giusta cremosità per molto tempo tra gli scaffali del supermercato.