Gli ultimi dati di bilancio – relativi a gennaio-settembre 2010 – lo confermano: il gruppo Campari è sempre più multinazionale, seppur al di là del ferreo controllo da parte del quartier generale milanese. Innanzitutto, con il sorpasso delle Americhe, l’Italia non è più la prima zona geografica per fatturato. Il Belpaese pesa adesso per il 35,1% delle vendite contro il 35,3% dei mercati d’Oltreoceano, mentre il resto d’Europa vale il 22,8 per cento. Le ultime acquisizioni – Wild Turkey prima, e il terzetto Carolans, Frangelico e Irish Mist dopo – e la crescita organica sostenuta hanno definitivamente colmato il gap a favore delle Americhe (Stati Uniti e Brasile), l’area dove il gruppo ha scommesso ormai da molti anni con l’acquisizione di Skyy Vodka. Nei primi nove mesi del 2010, il gruppo ha fatturato 794,9 milioni di euro:+14,1% sullo stesso periodo del 2009, che diventa +6,8% al netto delle acquisizioni. Il margine operativo lordo è salito del 15% a 202,2 milioni di euro, mentre il risultato netto prima delle imposte è cresciuto del 16,9% a 156,3 milioni. All’interno dei costi, le spese per pubblicità e promozioni si sono attestate al 17,7% del fatturato, ovvero a circa 140 milioni di euro. A fare da traino sono le vendite di spirits, aumentate del 19,2% e con una crescita organica del 10%, mentre i vini sono sostanzialmente piatti e i soft drinks, che ormai valgono per meno del 10% del giro d’affari totale, scendono del 3 per cento. Tra i singoli brand, resta in grande evidenza Aperol, con +36,6% a cambi costanti grazie anche al positivo andamento in Germania e Austria. Per il celebre aperitivo l’Italia conta per il 60% dei volumi. Tornano a brillare le vendite dei brand brasiliani (+31,2% a cambi costanti), dopo la defaillance del 2009 “grazie al successo dell’implementazione della nuova politica commerciale”, specifica la società. Performance ancora in lieve calo, infine, per Cynar.
Campari, America batte Italia
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