Lo scorso 31 gennaio è ufficialmente entrato in vigore l’obbligo di indicazione di origine della materia prima sulle confezioni di carne suina trasformata: una regola a cui sono ‘sfuggiti’ i salumi Igp.
LA DEROGA E LE ECCEZIONI
L’entrata in vigore della legge fissata per il 31 dicembre 2020 è stata posticipata ed è stato inserito un periodo transitorio in scadenza a fine gennaio. Questo ha consentito ai produttori di carni suine trasformate di utilizzare ancora per qualche tempo etichette e imballaggi senza l’indicazione dell’origine della materia prima.
A quanto risulta, oggi l’eccezione continua a valere per i prodotti Igp. “Un paradosso” – secondo Confagricoltura – “che crea confusione nei consumatori e che va contro la chiarezza auspicata anche dalla normativa comunitaria”. Confagricoltura invita tutti gli operatori della filiera, al di là degli obblighi previsti, a indicare l’origine delle materie prime sui prodotti trasformati, “valorizzando così le carni nazionali e tutelando gli interessi sia dei produttori nostrani, sia dei consumatori, che chiedono sempre maggiore chiarezza nelle informazioni relative al cibo che comprano”.
‘PROTETTI’ DAL DISCIPLINARE
Non è di certo una notizia dell’ultima ora il fatto che gli Igp abbiano dei disciplinari ‘furbi’. I prodotti con Indicazione geografica protetta, infatti, possono essere associati a una determinata zona geografica anche se la materia prima proviene letteralmente dall’altra parte del mondo: è sufficiente che almeno una fase della lavorazione avvenga in loco. Tra questi, la bresaola della Valtellina Igp e lo speck dell’Alto Adige Igp.
Proprio per una comunicazione più chiara e trasparente verso il consumatore, la regolamentazione ha introdotto ora l’obbligo di indicazione dell’origine. Ma il legislatore ha tutelato i produttori Igp che forse temono di perdere un vantaggio commerciale nello svelare le carte sull’origine della carne suina.