Si poteva fare di più, soprattutto alla luce dell’andamento delle vendite per polpe e passate in Gdo nel 2020. È questa la sensazione che emerge dopo l’incontro dello scorso 24 febbraio tra le organizzazioni dei produttori e l’industria, che aveva come ordine del giorno la definizione del prezzo del pomodoro per la campagna Nord Italia 2021.
COMPENSI SOLO IN LIEVE AUMENTO
92 euro a tonnellata, esclusi i costi dei servizi: sarà questo il prezzo pagato ai produttori dall’industria. Una cifra superiore dell’1,25% rispetto al 2020: “Ci sono senz’altro condizioni migliorative rispetto all’anno scorso, ma, nel complesso – osserva Giovanni Lambertini, Presidente dei produttori di pomodoro da industria di Confagricoltura Emilia Romagna –, l’accordo delude gli agricoltori e il prezzo è al di sotto delle aspettative. Non si è tenuto conto dell’aumento dei costi di produzione, come mezzi tecnici (agrofarmaci), attrezzature, polizze assicurative e certificazioni varie, una spesa che nell’ultimo anno ha raggiunto valori record, e neanche delle crescenti criticità operative causate da anomalie climatiche spesso eccezionali. Inoltre, non sono state accolte le nostre richieste volte ad alleggerire le penalizzazioni, decisamente troppo alte, per i cosiddetti difetti minori del prodotto”.
POMODORO ‘TARDIVO’: SERVIVA UNO SFORZO IN PIÙ
La posizione di Confagricoltura Emilia-Romagna è chiara: anche la maggiorazione di prezzo per il pomodoro ‘tardivo’ non è ritenuta sufficiente, a fronte anche di una campagna di raccolta lunga 60-65 giorni (0,75 euro/ton al giorno per quello ritirato dal 12 al 19 settembre e 1 euro/ton per quello ritirato a partire dal 20 settembre fino a un massimo di 15 euro/ton).
“Peccato – continua Lambertini – perché il corrispettivo economico in più avrebbe potuto incentivare la coltivazione in un periodo delicato per lo stato fenologico della pianta come anche compensare chi è costretto, con l’avvicinarsi dell’autunno, a raccogliere in presenza di condizioni meteo sfavorevoli”.
RACCOLTA 2021: STESSI ERRORI DEL 2020?
Ciò che più preoccupa è la mancanza di garanzie sull’effettivo potenziale di trasformazione del bacino. C’è, infatti, il rischio di ripetere gli stessi errori della campagna 2020 quando la maturazione in contemporanea delle bacche rese complicato il ritiro del prodotto in campo, facendo ricadere l’onere esclusivamente sul produttore.
A questo si aggiungono le mancate garanzie da parte dell’industria sulle loro reali capacità di trasformazione. “All’inizio dell’anno – sottolinea Lambertini – le Op si sono impegnate a fornire 28,5 milioni di quintali di prodotto, firmando i relativi pre-contratti: un quantitativo ritenuto subito eccessivo. Per questo avevamo chiesto di inserire nel testo specifiche garanzie sulla reale capacità di trasformazione dell’industria”.
A tal proposito, Confagricoltura Emilia Romagna ricorda che, in una nota dello scorso ottobre, aveva esortato a non oltrepassare la soglia produttiva dei 25-26 milioni di quintali, evidenziando i limiti della prossima campagna di raccolta, su cui influirà l’assenza di due aziende di trasformazione: la Columbus di Parma e lo stabilimento piacentino della Opoe, come già avvenuto nel 2020.