Dall’Università di Bolzano arriva un progetto di ricerca destinato ad innovare nella categoria bakery: farina e residui di frutta. Una combinazione nata in modo casuale dall’intuizione di Raffaella Di Cagno, Professoressa della Facoltà di Scienze e Tecnologie.
“Stavo effettuando delle ricerche sulla produzione di strudel presso un’azienda dolciaria – ha raccontato la Di Cagno –e mi sono chiesta se fosse possibile recuperare gli scarti derivati dalla lavorazione delle mele inserite nell’impasto. Di solito le industrie li impiegano nei succhi di frutta o nei mangimi animali, ma volevo approfondire il discorso”. Gli avanzi di frutta utilizzata nelle preparazioni alimentari, infatti, presentano lo stesso apporto energetico delle parti selezionate per la trasformazione industriale.
“Ho pensato di ricorrere alla fermentazione – ha spiegato la docente –, una forma di biotecnologia sostenibile a basso impatto che sta trovando largo impiego in campo gastronomico”. Lo conferma la popolarità di prodotti come il kefir o il kombucha, bevande fermentate, la prima a base di latte e la seconda di tè zuccherato. Nel caso delle farine, però, si tratta di un ingrediente secco a cui aggiungere scarti di alimenti freschi.
“Abbiamo fatto diverse prove – ha proseguito la ricercatrice –, fermentando la massa contenente bucce, semi e torsolo della mela con alcuni tipi di microorganismi, prevalentemente batteri lattici. Poi siamo riusciti ad isolare da quegli stessi scarti la popolazione microbica naturalmente presente nella frutta cruda, effettuando un accurato screening di selezione. Sta qui, secondo noi, l’innovazione della ricerca”
UN PROGETTO ANTI-SPRECO
Per quanto si tratti di un processo molto diverso rispetto alla fermentazione spontanea per la panificazione, l’obiettivo resta quello di ridurre gli sprechi e, contestualmente, arricchire i prodotti lievitati di nutrienti benefici per l’organismo umano.
La ricercatrice ha poi illustrato come avviene il processo di produzione della farina a partire dai residui di frutta fresca: “Dopo aver fatto essiccare la poltiglia di mela fino ad ottenere una polvere finissima, la aggiungiamo a una miscela composta da pasta madre, acqua e due diversi tipi di farina -di grano tenero o di grano duro, a seconda dei casi– seguendo la classica ricetta del pane a lievitazione naturale. Avendo già curato altri progetti di ricerca simili, io e il professor Gobetti siamo riusciti a personalizzare la preparazione base a livello strutturale, ottenendo un pane fortificato con scarti organici fermentati”
‘TROVA LE DIFFERENZE’
Il prodotto finale presenta caratteristiche molto interessanti tra cui una maggiore conservabilità del pane e un’ampia varietà di aromi sprigionati dalla mollica e dalla crosta. Dal punto di vista nutrizionale aumenta il contenuto di fibre, mentre non sembrano esserci differenze significative in quanto a colore e consistenza del prodotto al di sotto di una soglia del 5%, che potrebbe incoraggiare l’utilizzo della farina arricchita da parte dei panificatori. “Inoltre –ha spiegato Raffaella Di Cagno –, questo metodo ha il vantaggio di ritardare la contaminazione fungina dei lievitati”.
Dagli studi di Micro4FoodLab assicurano che la ricerca è sicuramente destinata protrarsi nei prossimi mesi: “La fermentazione tradizionale ci offre l’opportunità di sperimentare nuove forme di bioriciclo. Oggi come oggi, non è poco”, ha concluso la professoressa.