Come ha impattato la pandemia su una delle filiere a più alto valore aggiunto dell’agroalimentare italiano, quella dei formaggi? Come si stanno delineando i primi mesi del 2021 per le produzioni casearie italiane? In base all’analisi di Nomisma, la fluttuazione dei costi della materia prima ha indubbiamente penalizzato il valore della produzione nel corso del 2020, ma il sistema è solido e resiliente e le opportunità per un rilancio sia sul mercato interno che internazionale restano concrete.
Nel 2020 i prezzi del latte vaccino crudo alla stalla, influenzati dalle ricadute dell’emergenza sanitaria sul sistema economico, hanno subito un repentino ribasso: da maggio in poi hanno registrato quotazioni inferiori sia rispetto al 2019, ma anche al 2018. Nei mesi di agosto e settembre, a seguito delle riaperture estive del canale Horeca e dell’attivazione delle misure emergenziali di ritiro di parte della produzione dal mercato (aiuti all’ammasso e distribuzione alle persone indigenti), le quotazioni si sono leggermente riprese, pur rimanendo lontane dai valori degli ultimi due anni.
A fine 2020 la situazione si mostrava ancora critica perché il ritorno del Covid-19 ha fatto naufragare il timido accenno di ripresa estiva, rendendo difficile fare previsioni sull’evoluzione dei prezzi nel medio-lungo termine. La quotazione di dicembre 2020 è stata di 36,87 €/100 litri; in ripresa rispetto all’andamento dei mesi precedenti, ma su livelli largamente inferiori ai vecchi prezzi annuali.
PREZZI IN RISALITA NEI PRIMI MESI DEL 2021
A febbraio, i prezzi della materia prima sono aumentati, circostanza che ha ridotto il gap rispetto alle quotazioni del 2020. Nel settore caseario in particolare, la dinamica negativa delle quotazioni del latte ha avuto come contraltare una maggiore stabilità dei prezzi dei principali formaggi, ma senza invertire il trend negativo dei prezzi della materia prima.
Le variazioni del prezzo del latte vaccino, che rappresenta la tipologia quantitativamente più rilevante dell’offerta nazionale (94,3% del totale), condizionano l’andamento generale del mercato. Nel corso del quinquennio 2015-2019 le consegne all’industria di trasformazione sono progressivamente cresciute, salendo da poco più di 11 milioni di tonnellate nel 2015 a più di 12 nel 2019, quando il trend si è arrestato. Il latte consegnato annualmente all’industria, oltre che per il consumo alimentare (2,4 milioni di tonnellate), è utilizzato come materia prima per un’ampia gamma di derivati come yogurt, crema di latte e panna (in complesso 490mila tonnellate), burro (poco meno di 95mila tonnellate) e, soprattutto, vari tipi di formaggi (1,3 milioni di tonnellate).
UNA FILIERA ORIENTATA ALLA PRODUZIONE DI QUALITÀ
Il sistema industriale della trasformazione del latte, benché solido, risulta ancora frammentato. Nel 2019 erano in funzione sul territorio nazionale oltre un migliaio di unità di trasformazione, tra caseifici e centrali del latte.
Gli stabilimenti più numerosi (400 unità) sono quelli con capacità di lavorazione della materia prima inferiore a 1.000 t/anno. Queste strutture rappresentano il 38% degli impianti ma contribuiscono a meno del 2% della produzione finale. Di contro, le unità con la capacità più elevata, maggiore di 10mila tonnellate all’anno, sono soltanto un quinto del totale (209 unità) ma contribuiscono all’81,1% della produzione finale. Si tratta di una situazione asimmetrica che aumenta i costi di sistema, ma consente una copertura capillare dell’offerta degli allevamenti, un requisito importante per consentire la sopravvivenza anche a piccole produzioni con metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura espressione della cultura artigianale del territorio. In questa logica circa i 2/5 del latte italiano è destinato a prodotti Dop, una situazione che non ha eguali all’interno dell’Ue-27.
Nel 2019 la quota di Dop sul totale di formaggi con un’indicazione geografica era pari al 27,3%, cioè un valore più alto di quello della Francia (23,6%) e più che doppio rispetto a quello della Spagna (13,3%). Il divario è poi anche più ampio prendendo in considerazione gli altri più importanti produttori comunitari, tutti con quote inferiori o appena superiori al 10%.
Il sistema dei formaggi certificati Dop e Igp genera un valore alla produzione di 4,5 miliardi di euro, che quasi raddoppiano al consumo (7,5 miliardi di euro) mentre l’apporto alle esportazioni è stimato in 2,1 miliardi di euro (Fonte: Qualivita 2020). L’offerta delle Dop casearie è concentrata (tre formaggi producono oltre l’80% del totale) per cui il sistema, se sostenuto in modo continuo dalla domanda, ha ancora margini di miglioramento e crescita.
PRODUZIONE CERTIFICATA: EXPLOIT DEL BIO
L’orientamento della filiera casearia verso le produzioni di qualità si è rivelato valido anche durante i vari lockdown che si sono succeduti durante il 2020 e che, con le limitazioni imposte agli spostamenti, allo shopping e la chiusura totale o parziale delle strutture dell’Horeca (bar, ristoranti, trattorie, pizzerie e agriturismi), hanno colpito anche il settore formaggi generando disdette di ordini e ripercussioni negative sull’organizzazione della produzione.
Tuttavia, la produzione del numero di forme è proseguita anche nel 2020 confermando per le tre principali Dop (Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Gorgonzola) un trend di crescita sul 2011. Anche l’Asiago ha incrementato la produzione (+0,4%), riavvicinandosi ai livelli produttivi del passato.
L’importanza delle Dop casearie è legata al fatto che queste produzioni attivano una domanda di latte prodotto localmente, contribuendo a mantenere sotto controllo la strutturale dipendenza dell’Italia dall’esteroper l’approvvigionamento di materia prima. In questa logica cresce anche l’interesse per le produzioni casearie biologiche. Nel 2019 le vendite di prodotti caseari bio nella Gdo hanno sfiorato 25 milioni di euro: per il 72,4%, si tratta di freschi e latticini.
Nel periodo 2015-2019 un impulso decisivo alla crescita del mercato (+135,4%) è venuto dai formaggi grana, il cui valore si è decuplicato (+1.042%). Sempre sul fronte della trasformazione industriale il consolidato know-how dell’industria casearia italiana garantisce un saldo positivo della bilancia commerciale, che nel 2019 ha raggiunto 1,3 miliardi di euro.