L’Italia vanta storicamente una vocazione produttiva per il grano duro, che ha un ruolo strategico come materia prima di qualità per l’industria della pasta, uno dei simboli del Made in Italy alimentare nel mondo. Dopo aver raggiunto un picco nel 2016 con oltre 1,38 milioni di ettari, negli anni successivi le superfici investite in questa coltura sono diminuite.
Nel 2020 però la rotta si è invertita e – ancorché l’Italia resti sempre deficitaria in termini di fabbisogno – sono stati seminati a grano duro 1,2 milioni di ettari per una produzione totale di circa 4 milioni di tonnellate (+0,8% sul 2019). Il leggero aumento registrato dall’analisi di Nomisma è il risultato di una ripartizione asimmetrica dei valori di superficie, calati del 6,1% al Nord e, al contrario, in crescita sia al Centro (+2,2%) sia al Sud (+1,6%). Le regioni meridionali stanno quindi lentamente riguadagnando la leadership produttiva a fronte del forte calo del tasso di auto-approvvigionamento, sceso dal 70% al 56% nel corso degli ultimi cinque anni (fonte: Ismea).
VOLUMI IN CRESCITA DEL 5,6% NEL 2021-22
Per il 2021/22, si stima una crescita complessiva delle semine del +5,6% rispetto al 2020/21, con un raccolto che potrebbe riportarsi al di sopra di 4 milioni di tonnellate. In dettaglio, l’aumento più significativo è atteso nell’Italia settentrionale: +15,2% al Nord Ovest e +24,7% al Nord Est, dove sono localizzati importanti aziende del settore della pasta ed esistono rapporti di filiera consolidati.
Nel Mezzogiorno la crescita delle superfici è attesa più consistente al Sud (+4,2%) che non nelle Isole (+3,1%), ma comunque positiva in entrambe le aree. L’apporto del Sud consolida la posizione di leadership del grano duro come il cereale con la quota di Sau-Superficie Agricola Utile più alta: 40,3% nel 2020.
IN AUMENTO ANCHE LA PRODUZIONE IN EUROPA
Le previsioni di crescita dell’Italia si collocano in un più generale scenario di incremento dell’offerta dell’Ue-27, per la quale è previsto un consistente aumento (+7,9%) sul 2020/21. L’incremento della produzione di grano duro anche a livello comunitario dovrebbe consentire all’offerta di soddisfare la domanda globale, mantenendo sulle borse merci dell’Ue-27 quotazioni della materia prima più stabili rispetto all’anno scorso. Inoltre, l’import dall’estero risentirà dei forti incrementi dei noli marittimi, che favoriranno l’espansione dell’offerta comunitaria. Anche se non va dimenticato che per l’Italia l’import è imprescindibile per garantire all’industria (molini e pastifici) materia prima sufficiente.
LA SEMOLA RAPPRESENTA IL CORE BUSINESS
L’offerta dell’industria della pasta è articolata e commercialmente riconducibile a diverse categorie: paste all’uovo, cotte (farcite e non), non cotte, fresche, secche e congelate. Esiste quindi una grande varietà di tipi di pasta che, potenzialmente, consentono all’industria di allargare la gamma con prodotti innovativi e offrire sempre nuove alternative di consumo.
Nel 2019 (ultimo anno disponibile dei dati) la pasta all’uovo ha rappresentato il 21,2% del valore della produzione industriale di settore contro il 51,8% delle paste di semola di frumento duro o miscele della stessa. Un restante quinto della produzione (20,5%) è costituito dalle paste farcite. Nel 2019 il valore complessivo della pasta prodotta in Italia è stato di poco inferiore 4,8 miliardi di euro. L’apporto più consistente, in termini di produzione e di saldo della bilancia commerciale (E-I), è stato assicurato dalle paste semplici (non cotte o farcite) che hanno raggiunto un giro d’affari di oltre 2,4 miliardi di euro e un saldo commerciale positivo di quasi 1,8 miliardi di euro.
Una performance di tutto rispetto è stata registrata dalle paste farcite (976 milioni di euro di produzione e un saldo commerciale positivo di poco superiore a 500 milioni di euro) e della pasta all’uovo (1,1 miliardi di euro di valore della produzione e un saldo positivo di 178 milioni di euro). Per quanto riguarda il segmento delle paste fresche secche e congelate, pur evidenziando la più bassa incidenza sul valore della produzione (309 milioni di euro), hanno comunque evidenziato un rapporto export/produzione superiore al 50 per cento.
CONSUMI IN CALO FISIOLOGICO NEI PRIMI MESI DEL 2021
In Italia nel 2021 i consumi di pasta dovrebbero scendere rispetto al 2020, anno condizionato dalle ricadute della pandemia. In particolare, nei primi mesi la domanda ha avuto un inaspettato picco, indotto dalla corsa agli acquisti in conseguenza del primo lockdown. Nei prossimi mesi è quindi probabile che il mercato torni ai livelli antecedenti la pandemia, riportando sui binari della normalità il rapporto tra domanda e offerta. L’arretramento dopo un anno anomalo non intacca la leadership dell’Italia per i consumi di pasta (23,1 kg/ pro capite), che rimangono di gran lunga i più alti dell’Ue-27 attestandosi su un valore medio di circa 10,5 kg/pro capite.
In un anno così particolare la pasta è stata ancor più apprezzata anche fuori dall’Ue-27 come alimento sicuro e affidabile, come dimostrano i risultati della bilancia commerciale.
È RISCHIO TRADING DOWN?
Il ritorno a un equilibrio tra domanda e offerta non significa che anche nei prossimi anni abitudini sperimentate durante la pandemia non influenzeranno le modalità di acquisto e di consumo della pasta e i rapporti di forza tra i canali. Dopo lo stop forzato del 2020, la lenta riapertura dell’Horeca frena gli acquisti (ordini posticipati, scorte minime). La Grande distribuzione può quindi avvantaggiarsi in prospettiva per un maggiore utilizzo domestico del prodotto, ma la richiesta potrebbe essere diversa dal passato, in particolare più orientata verso prodotti più economici.
Forse non è un caso se nel 2020 le paste fresche sono state tra le categorie merceologiche con la contrazione a valore percentualmente più consistente: -21,9% quella di semola e -21,3% quella ripiena.